pupo
IndiceLessico
sm. (f. -a) [sec. XVIII; latino pupus, bambino].
1) Familiare, bambino piccolo: che bel pupo hai!
2) Marionetta del teatro popolare siciliano raffigurante, per lo più, personaggi dell'epoca cavalleresca.
3) Rar., fantoccio.
Opera dei pupi. Teste di marionette dell'Opera dei pupi di Arcireale (Catania).
De Agostini Picture Library/A. Vergani
Opera dei pupi. Il paladino Orlando, uno dei personaggi principali del ciclo carolingio.
De Agostini Picture Library/A. Vergani
Teatro popolare
Il teatro di marionette popolari siciliane, chiamato opera dei pupi, rappresenta le gesta eroiche dei paladini di Francia e in genere dei personaggi del mondo cavalleresco comuni al repertorio dei cantastorie. Simboli dell'antica arte popolare siciliana, i pupi sono il risultato dell'intreccio fra tecniche artigiane altamente specializzate, mantenutesi anche nell'epoca attuale (intaglio del legno, lavorazione del ferro battuto, tessitura, sartoria). Si presume che abbiano un'origine ispanica, in quanto l'area meridionale è stata influenzata politicamente e culturalmente dalla Spagna. Alla fine del Settecento, nel napoletano, così come nell'area palermitana si diffusero le prime marionette, ma solo verso la metà del sec. XIX apparvero i pupi così come si costruiscono ancora oggi. Proprio in quel periodo iniziarono ad acquistare un'enorme popolarità prima a Catania e a Palermo, poi anche nelle altre città e nei villaggi della regione. I copioni dell'opera dei pupi erano tratti da pubblicazioni popolaresche e fornivano al “parlatore” soltanto un canovaccio, da riempire con battute e dialoghi in versi improvvisati. Le rappresentazioni avvenivano a cicli e potevano durare anche cinque o sei mesi. Fra i temi principali e di maggior richiamo figuravano quelli legati alla chanson de geste, in cui dominano personaggi come Orlando, Rinaldo, Carlo Magno e Ruggiero. Ma i pupi presentavano anche altre storie, quelle per esempio di G. Garibaldi o del poliziotto G. Petrosino o quelle a tema religioso. Di questa popolare forma di teatro si possono distinguere due principali scuole siciliane: quella palermitana e quella catanese. La prima utilizza pupi dalle dimensioni piuttosto piccole (circa 60-80 cm), animati dai lati del palcoscenico. Sono dotati di gambe snodate, che consentono loro di inginocchiarsi e, grazie a fili aggiuntivi, possono rinfoderare la spada. Il pupo catanese (di cui è un sottotipo quello diffuso ad Acireale), viceversa, può raggiungere i 120 cm, è più rigido nei movimenti, ha la spada sempre in pugno e viene mosso dall'alto. Al di là dei confini siciliani, altre importanti tradizioni dell'opera dei pupi si ritrovano nel napoletano (dove stentatamente sopravvive), così come in Puglia, e sono caratterizzate da peculiarità proprie, legate agli elementi stilistici e ai soggetti messi in scena. Sino ai primi del Novecento le rappresentazioni dei pupari erano quasi sempre organizzate in lunghi cicli a puntate, ed erano seguite da un ampio ed eterogeneo pubblico di appassionati. Di grande interesse erano anche i tradizionali cartelloni e manifesti, nei quali venivano illustrati i momenti salienti dello spettacolo. Con l'avvento e la concorrenza di altre espressioni d'intrattenimento, come cinema e televisione, le varie compagnie hanno vissuto un lungo periodo di difficoltà, che ne ha ridotto notevolmente il numero. Le più famose dinastie di pupari furono quelle dei Grasso e dei Crimi a Catania e dei Greco a Palermo. L'opera dei pupi si è trasformata in uno dei principali simboli della cultura popolare siciliana in Italia e all'estero. Le rappresentazioni, non più organizzate in cicli, vengono allestite nei teatri o nelle piazze delle città da note compagnie di Palermo, Catania, ma anche di Siracusa e Roma. Un interessante lavoro di promozione e di stimolo a quest'antica arte lo ha realizzato l'Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari di Palermo, grazie anche alla fondazione, nel 1975, del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino. L'importanza artistico-culturale del teatro dei pupi siciliani è stata inoltre riconosciuta dall'UNESCO, dichiarandolo, nel 2001, “Capolavoro del Patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità”.