presidènte
IndiceLessico
sm. [sec. XIV; dal latino praesidens-entis, ppr. di praesidere, presiedere]. Chi presiede, chi ha l'incarico di dirigere assemblee, organi collegiali, istituzioni; presidente onorario, chi ricopre la carica di presidente in modo solo formale e onorifico. § Presidente del collegio sindacale, chi è posto a capo dell'organo di controllo contabile di una società. Deve essere scelto fra i revisori ufficiali dei conti ed è responsabile, assieme agli altri componenti del collegio, della verità di quanto da lui attestato nonché delle omissioni degli amministratori qualora queste fossero state evitabili con la normale vigilanza del collegio. § Presidente del consiglio di amministrazione, chipresiede l'organo amministrativo di una società. È nominato dal consiglio e, salvo che non gli vengano conferite deleghe specifiche, non ha particolari poteri che spettano, di norma, ai consiglieri delegati. Il presidente tuttavia dirige le sedute del consiglio e ha generalmente la rappresentanza legale della società di fronte ai terzi e in giudizio. § Presidente dell'assemblea, persona eletta a dirigere i lavori di un'assemblea. Nelle società tale incarico spetta, generalmente, al presidente del consiglio di amministrazione o all'amministratore unico. Il presidente dell'assemblea regola gli interventi dei vari partecipanti ed è responsabile, con il segretario, della verbalizzazione della seduta. § Presidente del tribunale, chi è a capo del tribunale e ne dirige il funzionamento. Normalmente ha la qualifica di consigliere di Corte d'Appello o di consigliere di Cassazione. Se il tribunale è costituito in più sezioni, il presidente presiede la prima sezione, mentre le altre sono affidate a presidenti di sezione. Al presidente del tribunale sono altresì affidate materie specifiche, quali i ricorsi per separazione dei coniugi, per decreti d'ingiunzione, per sequestri. Spetta al presidente del tribunale assegnare ai vari giudici le cause che vengono iscritte a ruolo. § Presidente del tribunale ecclesiastico, officialis, nominato dal vescovo, con potestà ordinaria (vicaria) di giudicare a nome del suo superiore e di presiedere il tribunale collegialmente costituito. La sua sentenza non può essere impugnata davanti al vescovo.
Diritto costituzionale: presidente del Consiglio dei ministri
Il presidente del Consiglio dei ministri (o capo del governo) nello Stato parlamentare è colui che dirige e coordina l'attività del potere esecutivo nell'ambito dei poteri e delle funzioni conferitigli dalla Costituzione. La sua figura deriva storicamente da quella del primo ministro (premier) del gabinetto inglese ed è venuta acquistando importanza e rilievo politico sempre maggiori nei confronti del capo dello Stato. In Italia la figura del presidente del Consiglio era ancora ignorata nello statuto del Regno Sardo e del Regno d'Italia, ma la sua importanza è già notevole nei governi Cavour, Depretis, Crispi e Giolitti. La vigente Costituzione della Repubblica dichiara che il governo è formato dal presidente del Consiglio e dai ministri, che assieme formano il Consiglio dei ministri. Egli dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, dà unità all'indirizzo politico e amministrativo coordinando l'attività dei ministri. La sua scelta è fatta dal presidente della Repubblica fra i membri del partito di maggioranza o di una coalizione qualificata di partiti. Egli presiede e dirige le riunioni dei ministri in qualità di capo dell'esecutivo, controfirma gli atti del presidente della Repubblica aventi valore legislativo e tutti gli altri indicati dalle leggi. Di questi atti egli è diretto responsabile in misura uguale di quelli da lui stesso compiuti. Le sue dimissioni sono di norma seguite da quelle dell'intero Consiglio dei ministri; a lui compete la scelta dei ministri che faranno parte del suo governo. Nell'esplicazione dei suoi compiti il presidente del Consiglio è coadiuvato da un vero e proprio dicastero, la presidenza del Consiglio, a cui fanno capo vari servizi e uffici.
Diritto costituzionale: presidente della Repubblica
Capo dello Stato e rappresentante e garante dell'unità nazionale (art. 87, I, Costituzione). Alla carica di presidente della Repubblica può essere eletto ogni cittadino (uomo o donna), che abbia compiuto cinquant'anni di età e goda dei diritti civili e politici. La sua carica dura sette anni (art. 85 Costituzione). L'elezione avviene a opera del Parlamento riunito in seduta comune, con scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. All'elezione partecipano anche tre delegati per ogni regione, eletti dal consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. L'incarico di presidente della Repubblica esclude l'assunzione contemporanea di ogni altro ufficio o carica. Residenza abituale del presidente sono il palazzo del Quirinale in Roma e la tenuta di Castel Porziano. Coadiuvano il presidente, nell'assolvimento dei suoi compiti, uffici e servizi alle dipendenze del segretario generale della presidenza della Repubblica; compone la guardia presidenziale un corpo armato di carabinieri, i corazzieri. Primo atto del neopresidente è il giuramento davanti alle Camere congiunte di essere fedele alla Costituzione dello Stato. Qualora un impedimento temporaneo non consenta al presidente della Repubblica l'esercizio delle sue mansioni, queste sono assunte per detto periodo dal presidente del Senato; qualora invece l'impedimento sia permanente (malattia incurabile, dimissioni prima della scadenza del termine, morte), il presidente della Camera convoca entro quindici giorni il Parlamento per l'elezione del nuovo presidente; nei casi normali il Parlamento viene convocato un mese prima della scadenza del mandato, fatta eccezione per l'imminenza di elezioni (al massimo tre mesi), nel qual caso l'elezione è rimandata a dopo le elezioni. Dopo la scadenza del suo mandato, il presidente della Repubblica è di diritto senatore a vita. Quale custode dell'unità nazionale il presidente della Repubblica, al fine di rimanere al di sopra delle parti politiche, non entra in nessun modo a far parte dell'esecutivo, ma si limita a controllare che l'ordinamento statale abbia il suo regolare funzionamento e che sia garantita la democrazia quale è instaurata nella Costituzione. A questo scopo però i suoi poteri d'intervento sono molteplici e tali da poter mantenere tutti gli organi costituzionali dello Stato nel necessario equilibrio. Ancora per la sua carica al di sopra delle parti, il presidente non è responsabile degli atti da lui compiuti nell'esercizio delle sue funzioni e tanto meno per quelli compiuti dal governo; i soli reati di cui un presidente possa rendersi colpevole sono: alto tradimento e attentato alla Costituzione, tentando di sovvertirne l'ordinamento di cui è il principale garante. In questi casi l'accusa parte dal Parlamento e il giudice naturale è la Corte Costituzionale, rafforzata nel caso da sedici giudici sorteggiati fra cittadini che presentino i requisiti necessari all'elezione a senatori. L'irresponsabilità del presidente della Repubblica è affermata dall'art. 89 della Costituzione: da questo discende che gli atti firmati dal presidente della Repubblica non sono validi se non recano la controfirma del ministro proponente. Detti atti sono in realtà atti del governo, che ne deve di conseguenza assumere la responsabilità. Fanno invece parte delle funzioni proprie del presidente (e per questi, pur occorrendo la controfirma del ministro, non necessita la sua proposta) i seguenti atti: nomina di cinque senatori a vita, di cinque giudici costituzionali, di otto membri del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro; nomina del presidente del Consiglio dei ministri e (su proposta di questo) dei ministri che faranno parte del suo gabinetto. Nella scelta del capo del governo il presidente della Repubblica dovrà naturalmente riferirsi al partito, o a una coalizione di partiti, che presumibilmente possa ottenere la fiducia dal Parlamento e a questo scopo egli, prima di procedere alla nomina del presidente del Consiglio, consulta i massimi dirigenti dei vari partiti subito dopo l'apertura della crisi governativa. Al presidente della Repubblica non compete però la revoca del presidente del Consiglio o dei suoi ministri. Egli può invece, in base alla legge costituzionale 4 novembre 1991, n. 1, dopo averne sentito i rispettivi presidenti, sciogliere uno o entrambi i rami del Parlamento prima della loro scadenza quando risulti impossibile politicamente la costituzione di un governo. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura. Come non partecipa all'esecutivo, così il presidente della Repubblica non ha funzioni legislative: egli promulga le leggi, ma solo dopo che queste sono state approvate dal Parlamento; è però nelle sue competenze di rinviare una legge al Parlamento, prima di apporvi la sua firma, accompagnandola con un messaggio che ne spieghi i motivi; non può però opporsi nuovamente alla firma qualora il Parlamento l'approvi nel testo di prima. Altre funzioni del presidente della Repubblica sono: autorizzare il governo a presentare disegni di legge; inviare messaggi o comunicazioni alle Camere; accreditare e ricevere i rappresentanti diplomatici; tenere il comando delle Forze Armate e presiedere al Consiglio di difesa; presiedere al Consiglio Superiore della Magistratura, con facoltà di scioglierlo; concedere la grazia ai condannati; conferire onorificenze. Per le offese recate al presidente della Repubblica il Codice Penale prevede: per l'attentato alla vita, incolumità o libertà personale, l'ergastolo (art. 276 Codice Penale); per le offese all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica la pena è la reclusione da uno a cinque anni (art. 278 Codice Penale).