nulla
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Lessico
pron. indef., sm. e avv. [sec. XIV; latino nulla, neutro pl. di nullus, nessuno (agg.)]. Corrisponde al più comunemente “niente”, rispetto al quale prevale nell'uso toscano o lett. e in senso filosofico, con valore di sm., per indicare il “non-essere”, ciò che non esiste in senso assoluto o relativamente all'oggetto di un dato discorso.
Filosofia
Parmenide sosteneva che, essendo inconoscibile, il nulla non è assolutamente; Platone invece sosteneva che anche il non-essere deve in qualche modo essere e così lo riduceva all'“essere altro”. Per Plotino poi il nulla è addirittura nell'essere stesso: l'essere, infatti, che è molteplice e divisibile, deriva da un principio che lo trascende, non molteplice né divisibile (l'Uno), e dunque nell'essere si trova il nulla come ragione della molteplicità e della divisibilità. Ancora platonico è il significato che del nulla dà la teologia negativa (Scoto Eriugena, Meister Eckhart, Böhme, ecc.), che identifica Dio con il nulla, in quanto Dio è concepito come al di là delle essenze e delle sostanze e il nulla è appunto la negazione di ogni essenza o sostanza. Questa concezione influenzò lo stesso Heidegger, per il quale il nulla appartiene originariamente all'essere stesso, come pura possibilità di “lasciar essere”; ed è presente anche in Sartre, il quale afferma che il nulla è “nel cuore dell'essere”, come atto che decide del rapporto fra coscienza ed ente; i sofisti identificavano l'errore con il non-essere giungendo a negarne la stessa possibilità; posizione che sembra ritrovarsi nei positivisti contemporaneiper esempio Russell afferma che si può nominare solo ciò che è e conclude che i termini negativi sono semplicemente dovuti a un uso scorretto del linguaggio. Sulle stesse basi Carnap ha criticato le posizioni di Heidegger asserendo che il concetto di nulla “riassume tutte le magagne della metafisica”, in quanto l'unica nozione corretta del nulla è la negazione di una possibilità determinata.