kendō
s. giapponese (dalle parole giapponesi ken, spada, e dō, via, ossia via della spada) usato in italiano come sm. Arte marziale giapponese sviluppatasi nelle scuole di ken jutsu (arte della spada) del sec. XV che, dopo aver codificato l'uso della sciabola giapponese a due mani (katana), hanno trasferito le relative tecniche di combattimento in una forma sportiva che adotta come arma, al posto della spada, lo shinai, un attrezzo formato da quattro stecche di bambù e provvisto a una estremità di un puntale di pelle (kensen) e all'altra di impugnatura (tsuka), protetta da un'elsa rotonda (tsuba). I due estremi sono uniti da una corda, chiamata tsuru, che rappresenta il dorso della spada; un legaccio di pelle, a un quarto circa di distanza dal puntale, segnala la parte utile dell'attrezzo per “tagliare” (con riferimento alla spada vera). Lo shinai ha lunghezza massima e peso minimo che variano con l'età dei praticanti (e anche con il sesso, solo per il peso): 13-15 anni, 114 cm; 16-18 anni, 117 cm; dai 19 in su, 120 cm; peso (sempre per le tre categorie di età precedenti): 425 g, 470 g e 500 g per i maschi e 400 g, 410 g e 420 g per le femmine. Il kendō ha mantenuto inalterati gli antichi rituali di rispetto a riguardo sia della spada sia dell'avversario. Tradizionali sono rimasti anche gli indumenti e le protezioni che il praticante deve indossare. Si tratta dell'uwagi, una giacca di cotone, e dell'hakama, un paio di pantaloni molto larghi. Sopra la giacca si indossa il do, una corazza formata da listelli di bambù rivestiti con pelle conciata e laccata, rinforzata da una pettorina di cuoio, chiamata mune, sulla quale vengono portati i colpi. A una cintura sono appesi cinque tare, pezzi di stoffa imbottita destinati a riparare ventre e fianchi. Ulteriori protezioni sono offerte dai guanti, imbottiti e rinforzati (kote) e da una maschera di metallo (men) che avvolge il capo ed è munita di un'imbottitura destinata a proteggere le spalle. Scopo del kendō è di colpire con la massima precisione torace, polso e testa, assestando fendenti portati mentre si impugna, per i destrorsi, lo shinai con la mano destra vicino all'elsa per imprimere la direzione del colpo, mentre la sinistra, avvolta intorno al pomo, serve a dare forza al colpo, seguendo direzioni verticali, diagonali od orizzontali. Colpi di punta si possono portare solo alla gola. Perché il colpo dia diritto a un punto è necessario che esso venga portato su un bersaglio valido dopo aver alzato lo shinai fin sopra la testa con un'azione combinata di spalle, gomiti e polsi (caricamento), con spirito guerriero, manifestato da un caratteristico grido kiai), pronti però a portarsi fuori misura, per sfuggire alla reazione dell'avversario ed eventualmente proseguire l'azione offensiva. Questa tecnica di attacco e copertura è nota come zanshin. Le competizioni si svolgono in genere sulla distanza di tre punti: il primo che riesce a ottenere due punti, viene dichiarato vincitore. Altrimenti ottiene la vittoria chi al termine dei 5 minuti di gara è in vantaggio; se gli avversari fossero in perfetta parità, si possono avere le seguenti possibilità: verdetto di parità, prolungamento dell'incontro, decisione dell'arbitro. Come per gli altri sport derivati dalle arti marziali giapponesi, anche nel kendō i praticanti sono distinti in allievi (kyu) ed esperti (dan), ma non recano nessun segno esteriore per indicare il loro livelli. Le formule di gara sono tre: eliminazione diretta, torneo di tipo olimpico e l'aka to shiro, nel quale rimane in gara sempre lo stesso atleta finché non viene battuto. Il kendō è praticato soprattutto in Giappone (dove viene insegnato ai ragazzi fin dalle prime classi della scuola dell'obbligo) e in Corea, ma la sua pratica si è diffusa anche in Europa e negli Stati Uniti.
Kendo. Schermidore nel tipico costume.
De Agostini Picture Library/M. Bertinetti