interclassismo

sm. [sec. XX; da inter-+classe]. Dottrina economica che sostiene la necessità della collaborazione tra le varie classi sociali per assicurare il processo produttivo e il progresso economico. Per i cattolici l'interclassismo si prefigura come una dottrina sociale che, assimilando le classi della società moderna ai “ceti” medievali (semplici organizzazioni corporative e non realtà economiche autonome), propone l'intesa fra le diverse classi sociali e la conciliazione fra i loro interessi contrapposti in base a un precetto morale, che dovrebbe diventare principio politico. Pregiudiziale dell'interclassismo cattolico è l'accettazione delle differenze di classe, giudicate ineliminabili pur con la mediazione di una “giustizia sociale” che corregga gli eccessi e gli arbitri di una classe sulle altre. Nel mondo moderno l'interclassismo ha alimentato i movimenti associazionistici d'ispirazione romantica dai sansimoniani ai mazziniani in nome di vaghi principi etico-religiosi. Più coerente con le sue basi etiche e con forti accentuazioni integraliste, il cattolicesimo si è affidato all'interclassismo quale mezzo per battere da una parte il liberalismo e dall'altra il socialismo. Teorici della sociologia cattolica furono in Germania monsignor W. Ketteler, in Francia A. de Mun e R. de la Tour du Pin, in Belgio monsignor V. J. Doutreloux e in Italia G. Toniolo. Le loro teorie ricevettero il riconoscimento di papa Leone XIII nell'enciclica Rerum novarum (1891). Quando i cattolici, superata la pregiudiziale antiborghese, accettarono di collaborare con i liberali, l'interclassismo, assieme all'integralismo, fu alla base degli indirizzi programmatici dei nuovi partiti democristiani.

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