finanziarizzazione
Con il termine, attestato per la prima volta in Italia nel 1987, si indica l'incidenza progressivamente crescente delle attività finanziarie nel sistema economico, o su una sua grandezza, come la ricchezza nazionale, o su un suo flusso, come il prodotto interno lordo (PIL). Dopo la stagflazione degli anni '70, la ripresa della crescita economica ha visto quest'ultima concentrarsi sempre più nel segmento finanziario (con parallelo esplodere però anche dei debiti pubblici, con il fabbisogno statale sempre più affidato ai mercati per la sua copertura). Tale processo, alimentato dalla deregolamentazione dell’economia, incoraggiando comportamenti incauti e gestioni prive di criteri di prudenza, ha generato una serie di bolle: dapprima quella dell'information technology (2000-2001), in seguito, quella dei mutui immobiliari statunitensi (2007), che è stata tra le cause (per alcuni la causa scatenante) della crisi economica globale del 2008. L'esigenza di immettere sul mercato titoli da negoziare ha spinto a trascurare la solidità dei sottostanti (mutui subprime): il derivato finanziario si è sostituito all’economia reale. La borsa, da posto ideale in cui far incontrare i risparmiatori desiderosi d'investire i loro capitali e gli imprenditori capaci di farli fruttare, è diventato luogo in cui le azioni non si comprano più per partecipare dell'impresa e dei suoi utili, ma per speculare sulle variazioni del prezzo di mercato dei titoli stessi. Il livello di finanziarizzazione di un'economia viene misurato con indici che rapportano il volume complessivo della ricchezza finanziaria (cioè la totalità delle attività finanziarie negoziate sul mercato) a grandezze economiche che sintetizzano l’andamento del sistema economico (per esempio, il PIL). In tutti i Paesi sviluppati questi indici hanno cominciato a crescere nel Secondo dopoguerra accelerando nettamente dagli anni Novanta (In Italia dal 4% all’8% tra 1995 e 2007).