farisèo
sm. [sec. XIII; dal latino tardo pharisaeus, dal greco pharisâios, adattamento dell'agg. pl. aramaico, perīshaija, separati]. Ciascuno degli appartenenti al partito politico religioso ebraico che svolse la sua attività in Giudea tra i sec. II a. C.-I d. C., sino alla distruzione del II Tempio di Gerusalemme. Non numerosi, i Farisei diressero la loro azione verso le masse, alle quali cercarono d'infondere con spirito di santità gli insegnamenti religiosi tradizionali. Loro antagonisti furono i Sadducei; i Farisei sostenevano infatti il principio d'evoluzione nelle decisioni legali e si dimostravano indulgenti e comprensivi a differenza dei Sadducei, rigidi e attaccati alla lettera del testo scritto. La loro dottrina fu protesa ad abbracciare l'intera vita della comunità toccandone anche i fondamenti teologici. Il fariseismo, dando vigore alla moralità della legge e mostrando duttilità nel modo di osservare le norme, pose l'ebraismo in condizione di sopportare le vicissitudini e le innumerevoli tribolazioni dei secoli successivi e di riuscire a sopravvivere. La critica moderna ha corretto il giudizio che dei Farisei danno i Vangeli, rivendicando loro un vero spirito religioso. § Il termine è entrato nel linguaggio comune col significato fig. di ipocrita, persona che bada più alla forma che alla sostanza.