colloidoterapìa
sf. [da colloide+terapia]. Terapia medica aspecifica attuata per esaltare le resistenze organiche alle infezioni attraverso l'aumento dei poteri fisiologici di difesa dell'organismo (aumento della produzione e dell'attività dei leucociti, stimolo dell'anticorpopoiesi, miglioramento della reattività del terreno organico, ecc.). La colloidoterapia può essere praticata mediante somministrazione di colloidi proteici idrofili (proteino-terapia aspecifica), adoperando sieri o tessuti di animali (siero di cavallo, siero del latte di mucca, caseina, peptone di carne) oppure cellule batteriche morte o lisate, polline, ecc. Un secondo metodo consiste nell'impiego di agenti chimici e fisici di varia origine (farmaci, revulsivi cutanei, raggi X) capaci di alterare la composizione delle proteine ematiche e tessutali, in modo da trasformarle in autoantigeni. Allo stesso scopo possono essere somministrati colloidi idrofobi metallici (oro, argento, bismuto, magnesio allo stato colloidale), i quali, denaturando alcune proteine tessutali, provocherebbero un aumento della reattività immunitaria dell'organismo. In epoca preantibiotica la colloidoterapia è stata adoperata nel trattamento delle malattie infettive. Il suo effetto è pronto ma di breve durata.