Rasòri, Giovanni
medico e patriota italiano (Parma 1766-Milano 1837). Professore di patologia medica a Pavia (1795), fu, nel 1796, segretario del Ministero degli Interni nella Repubblica Cisalpina. Tornato a Pavia, e nominato rettore dell'ateneo, si batté contro il potere della medicina accademica tradizionale; un suo scritto, Sul preteso genio di Ippocrate (1799), suscitò violente polemiche. Dimesso dalla cattedra al ritorno degli Austro-Russi, combatté volontario nell'esercito cisalpino e a Genova si prodigò nella cura dei soldati colpiti da un'epidemia di tifo. Nell'Istoria della febbre epidemica (1801) espose i principi della dottrina dei controstimoli, che era venuto elaborando in quegli anni, per la quale esisterebbero nell'organismo sostanze che svolgendo un'azione antagonista a quella degli stimoli diminuirebbero l'eccitabilità. Causa della malattia sarebbe la rottura dell'equilibrio tra stimoli e controstimoli. Sostenne anche l'utilità ai fini diagnostici di osservare le modificazioni indotte nell'andamento della malattia dalla somministrazione di farmaci (ex iuvantibus et nocentibus). Tuttavia i suoi metodi terapeutici, che fondò principalmente sul salasso e sul tartaro stibiato, ebbero sovente risultati nefasti. Nominato, dopo Marengo, protomedico di Stato, provvide a istituire un servizio di sanità pubblica e, nel 1806, fu chiamato a insegnare clinica presso l'Ospedale Maggiore di Milano. Caduto il Regno Italico, prese parte alla congiura del 1814, ma fu arrestato e imprigionato fino al 1818. Privato dei suoi incarichi visse gli ultimi anni svolgendo la professione medica.