Ramorino, Geròlamo
generale italiano (Genova 1792-Torino 1849). Entrato nell'esercito francese, partecipò nel 1809 alla campagna d'Austria, nel 1812 a quella di Russia e fu ufficiale d'ordinanza di Napoleone I durante i Cento giorni. Agli ordini di Santorre di Santarosa comandò nel 1821 un nucleo degli insorti costituzionalisti e trascorse, all'indomani del fallimento di quei moti, un movimentato esilio che lo vide prima in Francia e quindi al fianco dei ribelli polacchi antizaristi (1830-31). Nel 1834 fu a capo della spedizione mazziniana in Savoia, che fallì anche per sua colpa e dopo la quale trovò scampo nuovamente a Parigi. All'indomani dell'Armistizio Salasco (9 agosto 1848) il comando dell'esercito sabaudo accettò le sue offerte di collaborazione. Alla testa della V divisione ebbe la responsabilità di impedire, alla ripresa delle ostilità nel 1849, che gli Austro-Ungarici penetrassero in Piemonte dalla Lomellina dopo aver attraversato il Ticino nel suo basso corso. Disobbedendo alle disposizioni del comando supremo, Ramorino spostò sconsideratamente il grosso delle proprie truppe intendendo con ciò prevenire un ipotetico tentativo austriaco di passare il Po in corrispondenza di Voghera. Il nemico riuscì così nell'intento di incunearsi proprio nel settore di Pavia: quello stesso che la V divisione avrebbe dovuto presidiare. Dal punto di vista storico si è molto discusso a proposito del peso che quell'errore ebbe agli effetti della sconfitta di Novara. L'interpretazione più recente, pur sottolineando le gravi responsabilità di Ramorino, rifiuta di considerarle l'unica causa della sconfitta, affermando anzi che gli alti ranghi dell'esercito sabaudo colsero, subito dopo Novara, l'occasione per fare di Ramorino un capro espiatorio scaricando su di lui le maggiori responsabilità della catastrofe. Giudicato da un consiglio di guerra e ritenuto colpevole di insubordinazione di fronte al nemico, Ramorino fu condannato a morte e fucilato.