Pratési, Màrio
scrittore italiano (Santa Fiora, Grosseto, 1842-Firenze 1921). Di temperamento ribelle, lasciò giovanissimo la famiglia e si stabilì a Pisa, dove strinse amicizia con G. C. Abba; fu poi segretario del Tommaseo a Firenze. Insegnante in varie città d'Italia, dal 1893 fu provveditore agli studi. Collocato, in sede critica, tra i veristi, Pratesi si presta solo parzialmente a tale definizione essendo in realtà un tardoromantico, non immune da eccessi “scapigliati”. Pratesi esordì felicemente con le Memorie del mio amico Tristano (1869), un “poemetto in prosa” di argomento autobiografico e paesano. Scoprì la sua vena più autentica con un volume di racconti, In provincia (1883), che ha come sfondo la campagna senese-maremmana. Un amaro pessimismo pervade L'eredità (1889), un romanzo imperniato sulla dura vicenda economica di una famiglia di contadini: mentre la campagna vive nella brutalità di un mondo zoomorfo, la città è alienata dal sesso e dal danaro, fino al limite di una putrefazione descritta con violenza quasi espressionistica. Nel Mondo di Dolcetta (1895), considerato il capolavoro di Pratesi, si riverberano la delusione post-risorgimentale e il risentimento dell'autore verso i ceti borghesi e nobiliari, il cui disfacimento morale si contrappone all'innocenza della protagonista: una povera serva che, travolta dall'amore, finirà con il morire di mal sottile nelle tetre stanze di un ospedale. Nelle opere successive (Le perfidie del caso, 1898; Il peccato del dottore, 1902; La dama del minuetto, 1910) trionfa un moralismo angusto e provinciale.