Parmènide (dialogo di Platone)
dialogo di Platone, appartenente, secondo la suddivisione tradizionale della sua opera, all'ultimo periodo della produzione letteraria del filosofo. Nel contesto dello sviluppo del pensiero platonico, il Parmenide rappresenta uno dei momenti più tesi di una decisiva fase autocritica: dialogo aporetico, esso porta alla luce e dibatte approfonditamente le difficoltà e le contraddizioni cui la dottrina delle idee – così come si era venuta costruendo e, in certa misura, sistematizzando nei dialoghi precedenti – sembrava dar luogo tanto nella sua interna struttura quanto nel raffronto con altre e diverse posizioni filosofiche. Parmenide, il pensatore eleatico dell'essere e dell'unità, è nel dialogo non solo l'interlocutore privilegiato di un Socrate ormai tutto “platonico”, ma altresì il punto di riferimento ideale di questo travaglio critico. È infatti nella rigorosa esigenza parmenidea dell'unità (dell'assoluta autoidentità dell'essere ideale) che Platone incontra l'interrogativo fondamentale posto a tutto quanto, nella teoria delle idee, è ammissione e legittimazione del molteplice e della trama di rapporti fra enti che il molteplice necessariamente implica. Il dialogo procede, così, per successive problematizzazioni, che hanno la loro comune radice nella questione del rapporto tra enti ideali ed enti fenomenici. Posto che tra idee e cose vi sia un rapporto di partecipazione (metessi), questo può definirsi in due modi: o nel senso che la idea (unica) viene partecipata da una molteplicità di cose, o nel senso che le cose partecipano ciascuna di una sola parte dell'idea. In ogni caso, l'idea – unificante per funzione e unica per definizione – viene frammentandosi o parzializzandosi, nella sua relazione con la molteplicità fenomenica, così da rivelare una struttura intimamente e inconciliabilmente contraddittoria. L'ostacolo può essere aggirato sostituendo all'ipotesi del rapporto metessico quella di un rapporto puramente mimetico tra cose e idee (tale, cioè, che le prime imitino le seconde senza intaccarne la struttura unitaria di “paradigmi” o modelli ideali), ma, anche in questo caso, non si evita una difficoltà che è comunque connessa con l'ipotesi in quanto tale di una relazione tra idee e cose: sia che le cose molteplici partecipino dell'idea che ne esprime l'unità, sia che solo la imitino, tra la molteplicità di quelle e l'idea si stabilisce una nuova molteplicità che va unificata in un'ulteriore idea, e così via in un processo all'infinito nel quale si dissolve la struttura di tutta intera la realtà. E vi è ancora una difficoltà di fondo che pone in discussione l'impianto stesso della dottrina delle idee: ordine ideale e ordine fenomenico appaiono in realtà come due mondi assolutamente incomunicanti ove si consideri che ciascun oggetto (ideale o fenomenico) si costituisce come tale e acquista la propria identità nelle relazioni che lo legano agli altri oggetti del proprio ordine: le idee sono tali in rapporto ad altre idee, le cose in rapporto ad altre cose. D'altra parte, la critica della dottrine delle idee non può significare un ritorno alla posizione parmenidea, cui in questo stesso dialogo è riservata un'analoga, radicale messa in questione. Il Parmenide, in definitiva, lascia aperti i problemi che ha suscitato e si mantiene entro i limiti di un'indispensabile premessa critica all'ulteriore elaborazione filosofica di Platone.