Necker, Jacques

finanziere e uomo politico francese (Ginevra 1732-Coppet 1804). Figlio di un professore di diritto di origine tedesca, ancora ragazzo fu inviato dal padre a Parigi presso il conterraneo banchiere Vernet. Il giovane dimostrò subito una notevole attitudine al lavoro bancario e nel 1762, associatosi ai Thellusson, diede vita alla banca Thellusson-Necker che in pochi anni divenne uno dei più importanti istituti di credito francesi. La fama di abilissimo finanziere s'accrebbe di nuovo lustro dopo le nozze con Suzanne Curchod (1764), colta e intelligente, che, raccogliendo nel suo salotto i più illustri personaggi di Parigi, creò attorno al marito una rete di preziose amicizie. Nel 1773 N. pubblicava l'Éloge di J.-B. Colbert (premiato dall'Académie) e, due anni dopo, un Essai sur la législation et le commerce des grains (Saggio sulla legislazione e il commercio del grano), polemico verso Turgot, opere in cui disegnava il ritratto del perfetto ministro delle Finanze; vale a dire, per molti, proprio di Necker. Sull'onda montante di questo coro di estimatori, nel 1776 il re gli affidò la direzione generale del Tesoro, e l'anno seguente la direzione delle Finanze. Con il suo arrivo al governo, qualcosa in effetti cambiò: passò qualche timida riforma, fu mitigata qualche tassa esosa; ma il peso dell' “uomo di genio” non si sentì, perché, si disse, non poteva far valere la sua piena influenza essendo escluso (come protestante) dal Consiglio del re. Ma nel 1781 il suo Compte rendu au roi scoppiò come un'autentica bomba. Necker svelava, cifre alla mano, il pauroso stato delle finanze francesi e ne indicava i responsabili. La reazione fu immediata: da una parte s'accrebbe enormemente la sua popolarità, dall'altra si ebbe una violenta levata di scudi degli accusati (nobili e privilegiati). Il re lo esonerò dall'incarico: un gesto che conferì a Necker l'aureola del martire, mentre la situazione del regno precipitava sotto il peso dei debiti crescenti. Quando la crisi divenne più acuta il re lo richiamò. Ci fu una ventata di entusiasmo: Necker avrebbe sconfitto la crisi. Ma non fu così. C'era, infatti, un equivoco di fondo; il ginevrino non era un genio finanziario, né uno statista; era un ottimo banchiere, un eccellente contabile, anche un uomo onesto e prudente, ma gli sfuggivano sia il contenuto sia la dimensione della crisi che travagliava la nazione, crisi di cui quello finanziario era soltanto uno degli aspetti. Come nel 1777, diede vita a qualche riforma e suggerì qualche rimedio. Ma, in fondo, il suo merito principale rimase quello di aver voluto la convocazione degli Stati Generali. La sua esposizione alle assise della nazione (5 maggio 1789) deluse soprattutto il Terzo Stato e il re ne approfittò (11 luglio) per revocargli il mandato. Ma di nuovo il gesto intempestivo scatenò l'ira popolare: l'astro Necker non era del tutto tramontato e il re dovette richiamarlo. Tuttavia l'uomo era finito, di gran lunga superato ormai dagli eventi. Si dimise nel settembre 1790, ormai impossibilitato dalla Rivoluzione a decidere e ad agire, e si rifugiò con la moglie e la figlia, M.me de Staël, in Svizzera.

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