Martèllo o Martèlli, Pièr Iàcopo
letterato italiano (Bologna 1665-1727). Dopo aver seguito a Bologna gli studi di eloquenza e filosofia, visse a Roma (1708-18) come segretario del nunzio apostolico cardinale Aldrovandi; ritornato nella città natale, fu, fino alla morte, segretario maggiore del Senato bolognese. Aggregato, con il nome di Mirtilo Dianidio, alla colonia arcadica di Bologna, agì da tramite fra i letterati bolognesi e i poeti dell'Arcadia romana. Come poeta, è ricordato per un Canzoniere (1710), comprendente le liriche per la morte del figlio Osmino e preceduto da un Comentario, in cui Martello tenta di conciliare petrarchismo e marinismo. Ma l'intelligenza critica di Martello si esercitò soprattutto nel campo della tragedia, cui dedicò una lunga attività teorica (dal trattato Del verso tragico, 1709, in cui sostenne l'uso, nella tragedia, del doppio settenario a rima baciata che da lui prenderà il nome di martelliano, al dialogo Della tragedia antica e moderna, 1715, esposizione della sua poetica tragica, antiaristotelica e prudentemente modernistica), affiancata da una folta produzione di tragedie, scarse però di vigore drammatico, tranne l'Ifigenia in Tauris, uno dei migliori esempi dell'ispirazione patetico-comica tipica del gusto rococò. Non a caso la migliore produzione di Martello va ricercata nelle commedie, ravvivate da una schietta vena umoristica e da singolari capacità parodistiche e mimetiche: dal celebre Femia sentenziato (1724), commedia di gusto aristofanesco in cui è messo in caricatura Scipione Maffei, a Che bei pazzi!, gustosa satira della volubilità femminile, e alla “burattinata” Lo starnuto di Ercole, opera geniale e bizzarra, il cui paesaggio esotico ha il fascino di una preziosa miniatura. Documento del gusto brioso e, insieme, dell'equilibrio di Martello è infine il dialogo Il vero parigino italiano (1719), opera imperniata sul confronto tra i costumi francesi e quelli italiani.