Herder, Johann Gottfried
IndiceBiografia
Filosofo tedesco (Mohrungen 1744-Weimar 1803). Di modesta famiglia, esercitò l'ufficio di scrivano e solo nel 1762 poté trasferirsi a Königsberg per studiare teologia, che insegnò poi nel Collegium Fridericianum. Quivi ascoltò le lezioni di Kant e fu amico di Hamann. Nel 1764 passò alla Domschule di Riga e divenne poi pastore e predicatore di grande successo. Visitò quindi la Francia, il Belgio e l'Olanda e conobbe Diderot, D'Alembert, Lessing e Goethe. Fu poi pastore e consigliere alla corte del duca di Schlaumburg-Lippe e dopo il 1776 poté raggiungere a Weimar l'amico Goethe. Situato tra Illuminismo e Romanticismo, Herder partecipò di entrambi. Nella sua filosofia complessa e ricca di suggestioni si possono avvertire l'influenza di Kant e quella di Hamann, con cui fu in rapporti di amicizia. Avvertibili sono anche influenze leibniziane e, soprattutto, spinoziane.
Il pensiero e le opere
Al centro della filosofia di Herder sta la profonda analogia che egli individua tra mondo della natura e mondo della storia: come la natura è caratterizzata da forme viventi in cui essa si esprime, così la storia è caratterizzata dal realizzarsi dell'umanità in forme sempre più compiute. In altre parole, se nella natura vi è un piano generale a cui ogni essere è sottoposto, e un piano specifico e individuale in virtù del quale ogni organismo prende forma, non diversamente accade nella storia, dove tutto, anche le passioni più selvagge, adempie a un fine generale, e al tempo stesso ciascuna specifica realizzazione storica ha una sua individuale finalità interna in base alla quale si configura. La forma più compiuta cui la storia giunge è l'umanità: linguaggio, arte, religione, libertà, ragione sono invece forme particolari in cui l'umanità si manifesta (Auch eine Philosophie der Geschichte, 1774, Ancora una filosofia della storia; Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, 1784-91, Idee sulla filosofia della storia dell'umanità). Il linguaggio e l'arte non esprimono soltanto le conoscenze e i sentimenti degli uomini, ma rivelano anche, con quella individualità personalissima che li caratterizza, l'essere stesso dell'uomo. Così è anche per la religione e la libertà: nell'una come nell'altra l'individuo viene in primo piano, il cuore umano, le sue esigenze, i suoi sentimenti; e tuttavia questa individualità attesta qualcosa che va al di là di se stessa e diviene come un simbolo della divinità. La religione allora, proprio per il culto della divinità di cui è portatrice, appare come la forma più alta di educazione dell'uomo all'umanità (Briefe, das Studium der Theologie betreffend, 1780, Lettere riguardanti lo studio della teologia; Briefe zur Beförderung der Humanität, 1793-97, Lettere per la promozione dell'umanità). Il romanticismo di Herder si afferma nella religione come forma suprema di umanità, mentre nel richiamo all'uomo come misura della realtà intera si avvertono eredità illuministiche. Ciò che è nuovo è lo sforzo di una ricomprensione unitaria della realtà, fondata non più sulla ragione soltanto, ma su una più complessa e articolata definizione dell'uomo, della natura e dei loro rapporti.
G. Fichera, Linguaggio e umanità nel pensiero di Herder, Catania, 1964; V. Verra, Mito, rivelazione e filosofia in Herder e nel suo tempo, Milano, 1966; A. Verri, Vico e Herder nella Francia della Restaurazione, Ravenna, 1984.