śivaismo

sm. Movimento filosofico-devozionale dell'induismo che vede in Śiva l'Ente Supremo, principio di tutte le manifestazioni del Trimundio. Egualmente diffuso nel nord e nel sud della penisola indiana, lo śivaismo si basa sulle dottrine degli Śivasutra (aforismi su Śiva), che secondo le tradizioni il kashmiri Vasugupta (sec. IX) redasse su istruzioni della divinità stessa. In essi Śiva conferma la sua non-dualità vedantica, che viene rispettata anche nelle elaborazioni successive. La letteratura relativa allo śivaismo kashmiri viene suddivisa in tre gruppi distinti, ovvero: gli Āgamaśastra, 28 di numero e tradizionalmente di ascrizione divina, dove si prescrive un insieme di dottrine e rivelazioni esoteriche (āgama) tramandate da precettore a discepolo; gli Spandaśastraastra della “vibrazione”), veicolati da Kallata Bhatta (sec. IX), che elaborano le dottrine degli Śivasutra senza peraltro evidenziarne la parte filosofica, e il Pratyabhijnaśastraastra della “teoria del riconoscimento”), attribuito a Somananda (sec. IX), dove invece il lato speculativo è fondamentale. In esso Śiva viene indicato come il principio cinetico dell'universo, mentre il cosmo sarebbe oggettivazione del pensiero di lui, attuata mediante il suo potere (Śakti) attraverso un processo di vibrazione (spanda) cosmica. Più emotivamente mistica è la scuola śivaita del sud, dove l'idea di comparare il dio all'amante e l'anima individuale (jiva) alla giovinetta intossicata d'amore trovò, particolarmente in terra tamilica, la sua massima espressione devozionale. Più di quella settentrionale, la scuola meridionale pone grande enfasi sul misticismo, sottolineando che soltanto la grazia del dio può elargire al devoto la “conoscenza pura”, ovvero la consapevolezza della propria vera natura. A fianco di queste scuole devozionali, che si potrebbero definire tradizionali, ne esiste un'altra, quella iniziatica e militante vīraśaiva, che prese le mosse dal mistico Basava (sec. XII) e che produsse, in particolare in lingua canarese, il fenomeno della letteratura vacana, ovvero componimenti religiosi dalla prosa scarna e semplice, adatta a essere compresa da tutti.

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