neoguelfismo
sm. [sec. XIX; da neoguelfo]. Movimento culturale prima e programma politico poi, si diffusero in Italia nella prima metà del sec. XIX. In quanto movimento culturale, il neoguelfismo, partendo dall'esame della storia del nostro Paese – massime del periodo medievale – individuava nel cattolicesimo la religione nazionale e nel papato l'istituzione che più di tutte aveva operato per la difesa della libertà e il progresso dell'Italia. In tal senso, il neoguelfismo viene a coincidere con le tesi fondamentali della corrente storiografica e politica cattolico-liberale (o moderata) italiana i cui maggiori esponenti furono C. Balbo, C. Troya, C. Cantù, L. Tosti, G. Capponi, A. Manzoni, S. Jacini, V. Gioberti (almeno del primo periodo). E proprio Gioberti trasferì più tardi le idee generiche del movimento neoguelfo in un programma politico concreto per arrivare alla soluzione dello spinoso problema del Risorgimento italiano, oltre tutto complicato dalla presenza, fra i vari staterelli della penisola, dello Stato della Chiesa retto da un sovrano che al tempo stesso era re ma anche capo universale in quanto pontefice. Nella sua opera Del primato morale e civile degli Italiani (1843), vero e proprio manifesto del neoguelfismo politico, Gioberti sostenne così la necessità di arrivare all'indipendenza d'Italia creando una confederazione degli Stati preesistenti, presieduta dal papa quale figura morale di prestigio neppure lontanamente eguagliabile dagli altri sovrani. La definizione neoguelfismo, allora entrata in uso per designare le tesi giobertiane, prese le mosse dall'antecedente storico medievale quando, all'epoca delle lotte per le investiture, si chiamò guelfismo la corrente che sosteneva la supremazia del papato sull'impero mentre i ghibellini sostenevano il contrario. Anche con il neoguelfismo giobertiano in effetti, nell'ambito politico italiano, si sarebbe praticamente realizzata una supremazia politica del papato. Invero, dall'accettazione da parte del papato del ruolo-guida del movimento nazionale italiano, Gioberti si riprometteva anche altri frutti, non ultimi quelli di un mutamento politico-sociale della Chiesa stessa nel rifiuto dell'alleanza reazionaria trono-altare stabilita durante la Restaurazione in funzione esclusivamente di controllo e subordinazione dei popoli ai sovrani assoluti. Il neoguelfismo crebbe rapidissimo sull'onda d'entusiasmo popolare per l'avvenuta elevazione al soglio di Pio IX (1846), che parve inizialmente l'incarnazione del papa liberale invocato da Gioberti. Altrettanto repentino fu il suo declino. L'allocuzione in concistoro (29 aprile 1848), che mostrò l'inconciliabilità assoluta fra papato e principio nazionale, segnò l'inizio della sua parabola discendente. Con la fuga di Pio IX da Roma e l'avvento della Repubblica Romana (febbraio 1849), il neoguelfismo cessò praticamente di esistere. Tuttavia, nonostante la sua breve durata, il neoguelfismo svolse un ruolo determinante per lo sviluppo successivo della società italiana. Rifiutando da una parte il cattolicesimo reazionario ultramontano (antiliberale e antinazionale) per difendere le legittime istanze civili di uno Stato indipendente, e al contempo ribadendo la propria fedeltà totale al magistero della Chiesa nella sfera puramente spirituale, il neoguelfismo contribuì a fare accettare da alcuni settori dell'opinione pubblica cattolica l'esistenza del nuovo Stato italiano, unitario e liberale, che si venne creando anche sulle ceneri del neoguelfismo e ai danni dello Stato della Chiesa.