Spavènta, Sìlvio
uomo politico italiano (Bomba, Chieti, 1822-Roma 1893). Fratello di Bertrando, cultore di studi giuridici e filosofici, maturò le sue concezioni politiche intorno al 1848 quando dall'iniziale federalismo si andò accostando agli ideali unitari. Deputato al parlamento napoletano e fondatore del periodico Il nazionale, sostenne la necessità dell'alleanza con il Piemonte e della guerra contro l'Austria. Preoccupato dell'evoluzione autoritaria di Ferdinando II dopo i fatti del 15 maggio, fondò la società segreta dell'Unità Italiana, ma, scoperto e arrestato (1849), fu condannato all'ergastolo. Nel 1859 ebbe commutata la pena nell'esilio perpetuo e si rifugiò a Londra e in Piemonte. L'anno successivo ritornò però in patria dove, d'accordo con C. Cavour, si adoperò attivamente in favore della soluzione monarchico-unitaria cercando di fomentare la rivoluzione sul continente prima dell'arrivo di G. Garibaldi. Ministro di polizia durante il governo di luogotenenza, seppe affrontare gravissimi problemi con intelligenza e intransigenza, ma per dissensi con E. Cialdini finì col rassegnare le dimissioni. Deputato del nuovo regno (1861), segretario generale al dicastero degli interni (1862) e consigliere di stato (1868), fu ministro dei lavori pubblici nel governo Minghetti (1873-76) e in tale qualità fece approvare la statalizzazione delle ferrovie romane e meridionali che fu, come noto, una delle cause occasionali della caduta della destra. Creato senatore nel 1889, nel medesimo anno fu eletto presidente della IV sezione del consiglio di stato che era stata da lui stesso voluta come indispensabile organo di giustizia amministrativa. Autorevole rappresentante e coerente teorico della destra, fu ammiratore del sistema parlamentare inglese, avversò il trasformismo e vagheggiò uno stato “forte”, non immune da influssi hegeliani, a cui fossero sempre subordinati tutti gli interessi particolari.