Resistènza
IndiceDescrizione generale
Movimento di opposizione a ideologia, organizzazione e prassi dei regimi autoritari, dittatoriali, a partito unico, instauratisi in Europa nel primo dopoguerra sull'esempio del regime fascista italiano (precipuamente autoritario e antidemocratico) e di quello nazionalsocialista tedesco (precipuamente razzista e antisemitico): con varietà di forze, di motivazioni, impegno, si accentuò nell'Europa occupata dai nazisti nel 1939-45, e, per analogie di situazioni e per suggestioni di esempi, si estese ad altri Paesi e continenti nel secondo dopoguerra così da costituire un tratto anche della realtà contemporanea. Essa è stata opposizione culturale, morale e religiosa nella contestazione di ideologie etico-politiche e di modelli di vita, con l'appoggio, invero diseguale, di cerchie intellettuali e di istituzioni religiose; ma è stata anche resistenza organizzata illegalmente nelle fabbriche, in partiti ridotti alla clandestinità dopo l'instaurazione delle dittature con partito unico, nella propaganda politica di fogli stampati e distribuiti illegalmente: la Resistenza è stata anche azione terroristica (non solamente di anarchici) con attentati a persone e istituzioni del regime dittatoriale. Tali gruppi di Resistenza agivano in collegamento e con il sostegno di organizzazioni ideologicamente affini attive all'estero, specialmente di quelle che contestavano l'ordinamento capitalistico-borghese (comunisti di osservanza della III Internazionale o trotzkisti). La Resistenza attiva, messa in crisi ma non piegata dall'azione repressiva di polizie speciali e tribunali straordinari con dure condanne, assunse grande rilevanza durante la seconda guerra mondiale trasformandosi in “guerra dietro le linee” con reti di informazioni, sabotaggi, guerriglia, ottenendo aiuti di armi, vettovagliamenti, collegamenti dai belligeranti dell'altra parte. In tale maniera, la Resistenza, da opposizione a un regime poliziesco, si fece Resistenza nazionale a una forza straniera occupante che si avvaleva a sua volta di collaboratori ideologicamente affini organizzati variamente in polizie e “milizie”; e questo via via in Polonia (nei riguardi di ambedue gli occupanti), in Cecoslovacchia, in Norvegia e Danimarca, nei Paesi Bassi, in Belgio, nella Francia di Vichy, in Grecia e Iugoslavia, nell'Italia occupata. La Resistenza si presentò con molteplici organizzazioni, nate spontanee sia come centri di contestazione, di disubbidienza civile, di controinformazione, di protezione di perseguitati, di prigionieri evasi, sia come organizzazione militare di sabotaggio e di guerriglia. Siffatte organizzazioni spontanee si raggrupparono e coordinarono in strutture più vaste in una Resistenza civile e in una Resistenza militare, naturalmente collegate nell'azione ma anche negli intenti politico-sociali. Così la Resistenza si configurò anche per i suoi ideali sociali e politici, per i suoi collegamenti internazionali al di là delle esigenze strategico-militari. Laboriosamente furono raggiunte quasi dappertutto un'unità dei gruppi politici, sulla base dell'intento comune di restaurare libertà e uguali possibilità in un regime democratico, e un'unità delle formazioni militari in settori regionali, inquadrati a loro volta in comandi superiori, in collegamento organico con gli eserciti che stringevano l'occupante anche come “liberatori”. E questo mediante “missioni” e agenti (inglesi, americani, sovietici) incaricati invero anche di controllare la Resistenza nelle sue spinte autonome e nelle sue istanze economico-sociali più avanzate. In tale modo la Resistenza operò nel campo militare come una “guerra dietro le linee”, ponendo problemi nuovi alla strategia e alla tattica, con azioni coordinate dai Comitati di Liberazione Nazionale (CLN) che unirono nella lotta civili senza esperienza di guerra, renitenti alla leva e militari con sicuri convincimenti ideologici. Dappertutto l'incolumità dei partigiani e talvolta la sopravvivenza stessa di centri di resistenza furono possibili per l'appoggio della popolazione civile, ciò che fece assumere alla Resistenza anche il significato di guerra di popolo, in una comune linea operativa che trasformò la lotta in guerra di Liberazione nazionale. Il popolo, peraltro, pagò duramente la solidarietà con il movimento di Liberazione subendo come rappresaglia fucilazioni in massa, deportazioni nei campi di lavoro nazisti, distruzione di interi paesi, requisizioni di generi e beni di prima necessità. Motivi e strutture, metodi e in parte anche uomini della Resistenza hanno continuato a esercitare suggestioni sulle lotte politico-sociali del secondo dopoguerra non solo in Europa ma anche in altri continenti, dall'Asia all'Africa, all'America Latina.
Resistenza. Un gruppo di partigiani catturati dai tedeschi a Pallanza; costretti a scavarsi la fossa sono stati poi fucilati.
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Resistenza. La brigata ""Matteotti"" mentre sfila a Milano il 25 aprile del 1945.
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Resistenza. Partigiani abruzzesi in marcia sull'Appennino Centrale.
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Resistenza. Partigiani e truppe alleate a Bologna il 21 aprile 1945.
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La Resistenza in Italia: origini e caratteristiche
La Resistenza in Italia del 1943-45 si riallaccia all'antifascismo del ventennio 1922-43; innanzi tutto a quello attivo degli esuli all'estero (“Concentrazione antifascista” a Parigi, “patto di unità d'azione” tra Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano) che avevano partecipato alla guerra civile di Spagna nelle “Brigate Internazionali” con la convinzione che essa fosse il preludio dell'azione insurrezionale contro il fascismo. Con non minore rilevanza la Resistenza si riallaccia ai gruppi di azione clandestina operanti in Italia (“Giustizia e Libertà”, dei fratelli Rosselli, poi Partito d'Azione, cellule comuniste nelle fabbriche e nei sindacati fascisti; gruppi cattolici di “parte guelfa”), tutti collegati all'antifascismo morale e ideologico dei superstiti delle formazioni liberali, democratiche, socialiste, “popolari” dopo il fallimento dell'Aventino: tutti provati dalle repressioni di polizia e dei tribunali speciali. La Resistenza in Italia rispetto all'antifascismo assume, però, maggiore ampiezza per partecipazione e motivazione. Essa è stata multiforme tanto nei suoi aspetti quanto nelle sue ispirazioni. Non solo fatto militare, la guerra delle bande, e neppure preminentemente un fatto politico-organizzativo (CLN), ma anche fatto morale, contestazione di una prassi di governo e d'amministrazione ingiusta, impegno di coscienze per valori considerati assoluti. Fu, non meno, una realtà di sentimento, ribellione ai soprusi, alle violenze, agli arbitri, alle crudeltà che vennero sempre di più caratterizzando il governo di neofascisti e nazisti nell'Italia occupata. Di qui indubbie differenze anche d'impegno, di metodo, di intensità nella Resistenza, la quale se rivelò il massimo di intransigenza e di combattività nelle formazioni militari e nella politica dei CLN, sul piano morale si manifestò piuttosto come distanziamento e rifiuto di solidarietà con il governo di fatto, come affermazione, efficace anche senza polemica esplicita, di principi in contrasto con le direttive e la prassi dell'occupante. In tante cerchie assunse inoltre la forma pratica della solidarietà umana con i perseguitati, con i ricercati, cioè con gli attivisti della Resistenza politico-militare. Nei giornali clandestini, negli appelli dei partiti, nelle mozioni dei CLN si ripresentarono di continuo i motivi della Resistenza politica: la consapevolezza di quello che lo Stato e la società dovevano essere in antitesi allo Stato fascista e nazista; l'urgenza di ristabilire nelle coscienze e nelle concrete istituzioni lo Stato aperto a tutti, “democratico” secondo le quattro libertà (di pensiero, di religione, dalla paura, dal bisogno) formulate nella Carta Atlantica, riferimento ideale della grande alleanza antinazista; ma insieme la volontà di far riacquistare al popolo italiano la sua personalità politica nel consesso delle Nazioni Uniten virtù della propria iniziativa, mediante una libertà conquistata con il sacrificio e il sangue, non elargita da “liberatori”. Perciò si insistette nel collegare la Resistenza alla lotta antifascista dentro e fuori d'Italia, per presentarla come la sua logica continuazione e per assicurarne la direzione militare e politica agli esponenti dell'antifascismo riemersi dalla clandestinità il 25 luglio 1943. Nelle correnti più avanzate si ebbe quindi la rivendicazione massimalista in virtù della quale i rappresentanti dei partiti della Resistenza dovevano costituire la Commissione straordinaria di governo con pieni poteri in attesa della convocazione della Costituente, con la sospensione delle prerogative della corona e del governo da essa nominato.
La Resistenza in Italia: i partiti antifascisti e il loro ruolo
Organi della Resistenza politica sono stati pertanto i partiti antifascisti con la loro organizzazione interna, i loro strumenti di propaganda, le loro aderenze ideologiche, con il loro influsso sulle diverse classi e i diversi ceti, sui vari organi della pubblica amministrazione e sulle grandi istituzioni sociali. Questi partiti erano, innanzi tutto, quelli dell'opposizione del 1924, il PCI (che non aveva però aderito all'Aventino), il PSI, la DCcontinuazione non solo ideale del PPI (Partito Popolare Italiano) di allora, il Partito Liberale Italiano, espressione dei gruppi differenziatisi da quelli della collaborazione o dell'attesa, il nuovo Partito d'Azione, formatosi nella lotta clandestina a Firenze, il Partito della Democrazia del Lavoro, costituitosi con elementi della vecchia democrazia liberale attorno a I. Bonomi, e, con funzioni e rappresentanza più limitate, il Partito Repubblicano Italiano, riallacciantesi ai repubblicani storici, ma con aperture regionalistiche, gruppi di dissidenza, ma dotati di una certa organizzazione e attività propagandistica, quali la Sinistra cristiana, il Movimento cristiano-sociale (a Roma), il Partito socialista internazionale, il Partito anarchico-libertario, il Partito riformista italiano. Nella lotta politica codesti partiti entravano con una tattica e un'efficienza peculiare, in funzione dell'organizzazione già posseduta. In questa prospettiva aveva assunto subito particolare rilevanza il PCI che, appoggiato dall'Internazionale di Mosca e dagli organi dell'URSS, era riuscito a mantenere la sua organizzazione di cellule, nonostante i vuoti fatti dalle azioni della polizia e dalle condanne dei tribunali fascisti (5000 condanne per 25.000 anni di carcere). Dopo quello comunista, il partito più attrezzato ideologicamente e organizzativamente era il Partito d'Azione, derivato dal movimento cospirativo dei gruppi Giustizia e Libertà sorti nel 1929, duramente provati, come i comunisti, dalle repressioni di polizia e assai attivi anche all'estero. Una tattica assai vicina a quella del Partito d'Azione ebbe poi a dispiegare il PSI, dall'agosto 1943 Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), risultando dalla reintegrazione del vecchio socialismo riformista (Mondolfo, Romita) con esponenti del massimalismo come Nenni, e con il Movimento di Unità Proletaria, audacemente rivoluzionario, rappresentato da giovani raccolti attorno a L. Basso e Bonfantini. La DC si presentava nel fronte antifascista con la vecchia guardia dell'intransigenza antifascista del 1924 (don Sturzo, De Gasperi, G. Donati), rafforzata però nel numero e nell'organizzazione dai giovani che in taluni settori dell'Azione Cattolica (universitari, laureati) avevano assunto una posizione morale e culturale di distanziamento critico inequivocabile dal fascismo. Con struttura organizzativa meno ampia e meno capillare era riemerso alla luce anche il PLI, però con nuclei, specie di intellettuali, assai attivi, in cui s'incontravano, come nel PSI e nella DC, anziani e giovani. Più esile organizzativamente il Partito della Democrazia del Lavoro, che aveva una base nella rete della massoneria sopravvissuta alla repressione fascista negli alti gradi dell'amministrazione, in numerosi intellettuali e professionisti, con un programma socialmente avanzato come quello del Partito d'Azione e un analogo intento di combinare in economia liberismo e dirigismo, senza però pregiudiziale repubblicana.
La Resistenza in Italia: i CLN
L'azione comune di resistenza dei partiti si svolse in organi collegiali intesi ad assicurarne l'unità di fondo e quindi il prestigio e l'efficacia. Si cominciò già nel febbraio 1943 a Roma con un “Comitato delle opposizioni” clandestino. Dopo il 25 luglio 1943 si costituirono anche in altre città “Comitati di intesa dei partiti antifascisti”; infine dopo l'8 settembre, nella crisi che investì lo Stato con aspetti diversi al Sud, nell'Italia centrale e al Nord, si moltiplicarono i Fronti o Comitati di Liberazione Nazionale sull'esempio di Roma e dei maggiori centri della vita politica del Nord e del Sud. L'esigenza poi di estendere al massimo l'attivazione capillare della Resistenza portò a creare una rete di CLN dal centro alla periferia, con una gerarchia territoriale e funzionale definita. Così dal CLN Centrale (di Roma) o dal CLN Alta Italia (CLNAI) venivano organizzativamente a dipendere i CLN regionali (di Toscana, Lombardia, Liguria, Nord-Emilia, Tre Venezie), che a loro volta delegavano le loro funzioni per l'amministrazione locale a CLN provinciali, coordinatori nel proprio ambito territoriale dei CLN periferici (di comune, di azienda, di categoria, di medici, insegnanti, ecc.). La composizione di codesti CLN in linea di principio doveva essere paritetica; le decisioni dovevano esser prese all'unanimità, per cui l'opposizione o la riserva d'un partito comportava sospensione e rinvio. La preoccupazione dell'unanimità portava però alla ricerca di formule di compromesso con il persistente richiamo all'urgenza dell'azione, ai motivi di convergenza, alla volontà unitaria. A questo spirito era informata la presa di posizione politica del CLN di Roma del 16 ottobre 1943 reclamante un governo che assumesse tutti i poteri costituzionali dello Stato, conducesse la guerra di Liberazione a fianco delle Nazioni Unite, convocasse il popolo, al cessare delle ostilità, per decidere sulla forma istituzionale dello Stato. La direttiva del CLN, guerra contro i Tedeschi come espressione della riscossa nazionale, si identificava pertanto con la posizione dei ribelli spontanei e dei contestatori della situazione di fatto creatasi l'8 settembre (capi politici, ufficiali, operai, militari sbandati nel Nord e nel Sud). La Resistenza nel Sud assumeva caratteri particolari e si affermava in un Congresso nazionale dei CLN dell'Italia liberata a Bari (28-29 gennaio 1944) che si considerava “espressione unica e vera della volontà e delle forze della Nazione” e auspicava la composizione di un governo con pieni poteri. La Giunta permanente esecutiva costituita dal Congresso sulla questione istituzionale veniva a un compromesso con il re (aprile 1944): Vittorio Emanuele III accettava di ritirarsi nominando luogotenente generale il figlio, principe Umberto, e autorizzava il maresciallo Badoglio a costituire il primo governo di CLN. Questo (21 aprile) era composto da cinque ministri senza portafoglio, da un ministro per ciascun partito dell'esarchia, salvo il Partito d'Azione con due, da due ministri militari e da un tecnico, rimanendo Badoglio agli Esteri. La Resistenza politica si intrecciava più fortemente con quella militare, assumendo aspetti particolari nell'Italia centrale e del Nord sia per l'oppressione squadrista e poliziesca della neofascista Repubblica Sociale Italiana (RSI) e per l'azione nazista di internamento in Germania di militari e civili, di accaparramento delle risorse nazionali, di dissimulato controllo d'ogni organo politico-amministrativo ed economico, sia perché qui più numerosi, più affiatati, più decisi erano i gruppi dell'intesa antifascista. I CLN pertanto raccoglievano gli elementi più audaci, più consapevoli delle ragioni – ma anche dei rischi – della lotta, pronti quindi ad accettarne le conseguenze, confortati nell'azione clandestina dalla convinzione di creare, per questa via cruenta, in un vicino domani, un nuovo ordine morale, sociale, politico. Da questi nuclei si venivano poi man mano allargando e intensificando insieme l'organizzazione e lo spirito della Resistenza, da quelli meno impegnativi della disubbidienza passiva a quelli più espliciti del sabotaggio delle disposizioni tedesco-fasciste e della collaborazione diretta con i CLN.
La Resistenza in Italia: i CLN periferici e il CLNAI di Milano
In questo quadro assunsero il loro significato e la loro funzione i CLN periferici, organismi volontari della lotta, non tutti invero di eguale autorità ed efficienza. La direttiva dell'azione politica non poteva venire che dai CLN dei centri maggiori, costituiti da personalità più rappresentative, di maggiore esperienza tecnico-amministrativa, in collegamento con le autorità riconosciute e in grado di dare il necessario appoggio morale e materiale, di realizzare la coordinazione dell'azione locale con la strategia della guerra condotta dagli Alleati. E questi erano i CLN di Roma, il CLNAI di Milano, i CLN regionali di Torino, di Genova, di Firenze, di Padova, con strutture e indirizzi particolari pur nello schema unitario comune, in dipendenza della diversità delle situazioni politico-militari, dei rapporti di forza delle correnti politiche e delle formazioni militari che a esse facevano capo. In questo quadro il CLNAI di Milano aveva organizzato i collegamenti con i gruppi di Resistenza nelle città e con le bande di partigiani in formazione nelle valli, predisposto le misure di sicurezza per le proprie riunioni, raccolto i mezzi finanziari tra l'altro per gli stipendi a funzionari e ufficiali renitenti agli ordini tedesco-fascisti e alla macchia. Il CLNAI faceva sentire la sua presenza in tutte le situazioni di crisi con propri appelli alla disubbidienza e con moniti intimidatori, diretti soprattutto ai collaboratori del rinato fascismo della Repubblica di Salò. Così di volta in volta erano organizzati il rifiuto del giuramento da parte di insegnanti, di magistrati, di ufficiali in congedo, l'elusione delle requisizioni di viveri nelle campagne, la disubbidienza ai bandi di arruolamento dei giovani di leva, l'assistenza ai perseguiti (prigionieri di guerra alleati, ebrei, braccati dalla polizia). In tale opera il CLNAI si era assicurato vasta solidarietà in tutti i ceti, anche tra personalità apolitiche, ottenendo che funzionari dello Stato e talune gerarchie della Chiesa coordinassero la loro azione per la difesa della collettività con quella dispiegata da esso. È per tutto questo che il CLNAI già alla fine del gennaio 1944 aveva l'apprezzamento del CLN di Roma; esso poi seguiva lo svolgimento della politica nel Sud e a Roma, sottolineando l'intransigenza nei riguardi del problema istituzionale, che intanto si evolveva con il ritiro del re e l'instaurazione della luogotenenza (5 giugno 1944), con il nuovo governo di CLN diretto da Bonomi, sulla base della “tregua istituzionale”, non senza interferenze moderatrici della Commissione alleata di controllo. Dal governo Bonomi il CLNAI era riconosciuto (6 agosto 1944) quale suo “delegato ai fini della lotta nazionale nelle terre occupate da Tedeschi e fascisti”; il riconoscimento alleato era ottenuto da una missione nel Sud via Svizzera (dicembre 1944) sulla base di un “protocollo” firmato per gli Alleati dal generale Maitland Wilson e per il CLNAI da Pizzoni, Paietta, Parri e Sogno: esso impegnava il CLNAI, riconosciuto come “Italia combattente”, alla collaborazione militare e al trasferimento dei poteri all'autorità alleata a Liberazione raggiunta, con la controparte di assistenza finanziaria e di armi. Nel marzo 1945 erano dettagliatamente fissati gli elementi della delega di poteri da parte del governo di Roma.
La Resistenza in Italia: la Resistenza militare
Nel Nord l'elemento più rilevante era però la Resistenza militare. L'8 settembre aveva sorpreso l'esercito italiano disperso in presidi in funzione antinglese, male armati, privi di ordini chiari di fronte ai Tedeschi divenuti avversari, organizzati in gruppi tattici assai mobili e armatissimi in possesso di posizioni chiave: molti ufficiali e soldati tornavano alle loro case o si davano alla macchia sulle montagne presto raggiunti dai giovani di leva che volevano sottrarsi alla coscrizione o al servizio di lavoro obbligatorio. Erano così nate le formazioni partigiane attorno a ufficiali decisi a condurre la lotta contro Tedeschi e neofascisti, ovvero ad attivisti dei CLN o delle Giunte militari che ispiravano alle formazioni la propria giustificazione ideologica, nazionale e sociale insieme, della guerra da combattere. Così le formazioni si differenziavano sotto insegne politiche, ma anche per tecniche di azione: sotto l'insegna di “Garibaldi” si distinsero per organizzazione, funzioni di comando, collegamenti le formazioni del PCI, prevalenti in pianura, in montagna e nelle città. Le formazioni “Giustizia e Libertà” erano l'espressione militare del Partito d'Azione, attive particolarmente in Piemonte; le “Matteotti” erano ispirate dal PSI; le “Mazzini” dal PRI; solo più tardi anche il PLI e la DC costituirono proprie formazioni (quelle DC sotto il nome di “Brigate del Popolo”) preferendo dapprima riconoscersi e appoggiare le formazioni apartitiche, le cosiddette “Autonome”. Tatticamente, poi, accanto alle formazioni di montagna si affiancarono i GAP (Gruppi d'Azione Patriottica) specializzati nel sabotaggio, e le SAP (Squadre d'Azione Partigiana) prevalentemente di operai nelle città. Preoccupazione dei CLN e di varie personalità fu ben presto quella di coordinare e convogliare la ribellione dei singoli nell'insurrezione della coscienza nazionale mediante unificazioni sul piano tattico e strategico. I Comitati militari regionali si integravano all'inizio dell'estate 1944 in un Comando generale del Corpo Volontari della Libertà (CVL), sotto il generale Cadorna, paracadutato dal Sud. Però rimanevano in atto le gerarchie interne delle formazioni, specie nelle "Giustizia e Libertà" e nelle "Garibaldi" più legate ai rispettivi partiti e caratterizzate dalla presenza di un Commissario politico per la formazione ideologica. Nel febbraio 1945 veniva dato loro dal governo italiano il riconoscimento come “parte integrante delle forze armate italiane” dietro impegno di adottare simboli e distintivi a carattere nazionale, di definire gli organi di comando secondo un minimo di effettivi (brigate, divisioni, gruppi), di accettare norme comuni e direttive circa i rapporti del CVL con i partiti politici. La tattica doveva essere quella della guerriglia che però fu appresa nella lotta e dopo gravi perdite nei tremendi rastrellamenti del 1944 che obbligarono a sgomberare le zone liberate. Persisteva la divergenza tra chi voleva rinviare l'attacco a formazioni adeguatamente preparate e fornite, e chi, soprattutto nelle formazioni controllate dai comunisti, era contrario a ogni tregua per non lasciar diminuire la tensione combattiva anche provocando con colpi di mano repressioni della popolazione (a Roma, nel 1944, attentato di via Rasella con la rappresaglia dei fucilati alle Fosse Ardeatine).
La Resistenza in Italia: i rapporti con gli Alleati
La Resistenza militare venne affiancata con impegno diseguale nel tempo e nei riguardi delle formazioni differenziate dagli Alleati anglo-americani. Dagli Inglesi con la loro Special Force, dapprima con l'addestramento all'informazione e al sabotaggio di Italiani poi paracadutati o sbarcati nel territorio occupato, più tardi con missioni presso le principali formazioni partigiane per il collegamento strategico, per la ripartizione degli aviolanci, ma anche per controllare la loro impostazione politica; dagli Americani ugualmente con ufficiali del loro Strategical Service. Infatti si voleva evitare che le tendenze politiche più radicali portassero, dopo la Liberazione, a ulteriori lotte tra le popolazioni, come era avvenuto in Grecia alla fine del 1944. E queste missioni ebbero la loro parte anche negli accordi menzionati di carattere politico-militare del dicembre 1944. Nella Resistenza militare l'autunno 1943 e il successivo inverno furono il periodo della costituzione spontanea delle bande nell'Appennino e nelle valli delle Alpi: a Teramo, nel Cuneese, nelle valli Sesia, Lanzo, Chisone e altre; in Lombardia sui monti di Lecco e Varese; nel Veneto sull'altopiano di Asiago, sul Grappa, nel Friuli (“Osoppo” e “Garibaldi” tra loro in contrasto circa le rivendicazioni dei partigiani di Tito, riconosciute dai comunisti); sull'Appennino Ligure; in Emilia-Romagna anche in pianura (i fratelli Cervi fucilati); in Toscana (Monte Amiata, Pratomagno); in Marche e Umbria (Ascoli Piceno); nel Lazio (Colli Albani) e Roma città, con organi del servizio informazioni del Sud (colonnello Montezemolo) e GAP. Nel 1944 le formazioni crescevano di numero ed efficienza (da 20.000 uomini in febbraio a 80.000 in maggio) e si intensificava la loro azione combattiva a maggior raggio, con l'appoggio morale e materiale delle popolazioni: di informazioni, di ricovero e di viveri. Si ebbero in molte valli zone liberate in cui vennero instaurate amministrazioni di CLN. Esse minacciavano le linee di comunicazione tedesche e deprimevano formazioni e spirito della RSI. Di qui, prima, l'applicazione di spietate rappresaglie e, successivamente, rastrellamenti in forze con armi pesanti e nelle città l'intensificazione delle retate poliziesche. Queste tra l'altro catturavano ed eliminavano il Comitato militare di Torino (aprile 1944) quando l'euforia aveva allentato le misure di sicurezza della Resistenza. L'avanzata da Sud fino a Firenze, con la partecipazione di partigiani alle operazioni militari, aveva esaltato partiti e formazioni nelle zone liberate (val d'Ossola, Carnia, Langhe, Lucchesia e altrove). Ma la reazione tedesco-repubblichina mise presto in crisi la Resistenza militare. Le formazioni dovettero ritirarsi in alta montagna con scarsità di viveri, di vestiario, di accantonamenti; per di più gli Alleati arrestavano la loro offensiva e il maresciallo Alexander invitava i partigiani a smobilitare (novembre 1944), non senza proteste di formazioni che si trasferivano in pianura per il vettovagliamento esplicando di qui efficaci azioni di sabotaggio. La primavera segnava, come per gli Alleati, così anche per la Resistenza militare, la ripresa grazie pure ai maggiori rifornimenti da aviolanci, al maggiore afflusso di volontari, alla più intensa organizzazione di SAP e di GAP nelle città con l'impegno anche di salvare centrali idroelettriche e impianti industriali dallo smantellamento per trasferirli in Germania o dalla distruzione. Il piano strategico del CVL, oltre che la liberazione di Bologna, Genova, Torino, Milano, era di bloccare la ritirata di Tedeschi e neofascisti dalla Liguria e dal Piemonte verso il Veneto.
La Resistenza in Italia: l'offensiva partigiana
L'offensiva partigiana affrettava i tempi della strategia alleata, realizzando con le sue sole forze la liberazione delle città di Modena, Genova, Torino, Milano (24-26 aprile), e nel Veneto, di Padova e Venezia (27-28 aprile). Le forze tedesche, accerchiate, in parte si arresero al CVL, in parte agli Alleati sopraggiunti. La Resistenza combattente aveva subito le seguenti perdite: partigiani combattenti caduti, 35.828; mutilati e invalidi, 21.168; civili uccisi per rappresaglia, 9980; civili mutilati e invalidi, 412; caduti all'estero, 32.000 (da R. Cadorna, La resistenza del CVL). Alla Resistenza in Italia si affiancava quella dei militari internati in Germania per fedeltà al giuramento, per ripulsa della RSI e dell'arruolamento in essa offerto per il richiamo alla Convenzione di Ginevra nel rifiuto del lavoro civile, subendo anch'essi maltrattamenti, umiliazioni e anch'essi preparandosi alla libera vita civile e politica del domani. Il comando generale del CVL era così composto: Cadorna, comandante generale, Longo (delle “Garibaldi”) e Parri (GL) vicecomandanti; Stucchi (“Matteotti”), Mattei (“Brigate del Popolo”) e Argenton (“Autonome”) addetti. Anche i CLN avevano intensificato la loro azione in vista dei compiti futuri di pace; tra l'altro una commissione economica del CLNAI aveva predisposto i piani per la più rapida ripresa della vita civile dal febbraio 1945. Inoltre nello spirito paritetico proprio dei CLN, il CLNAI aveva stabilito con accurato dosaggio i partiti cui destinare le maggiori cariche amministrative a Milano, Torino, Genova, Venezia e Bologna in modo da assicurare la partecipazione di tutti i partiti alla vita democratica e da evitare la predominanza dell'uno sull'altro. I CLN svolsero con tali formazioni attività di governo per alcune settimane, fino a quando il governo militare alleato (AMG) l'assunse direttamente, mantenendo i CLN come organi di consulenza dei comandanti dell'AMG installati in regioni e città e una parte delle formazioni partigiane, formalmente disarmate, come polizia ausiliaria. Entrarono in funzione le Corti d'Assise straordinarie e le “commissioni di epurazione”, che cercarono di controllare, come già in Francia, la “repressione alla Liberazione” che, non di rado ispirata da rancori, da sospetti e da vendette, continuava qua e là a manifestarsi fuori dalle forme della legalità prevista dai CLN.
La Resistenza in Europa: generalità
La Resistenza in Europa si è delineata di fronte ai nazisti occupanti e ai governi collaborazionisti installati nei vari Paesi. Per quanto sia possibile identificarne un aspetto unitario, e cioè aspirazione di rinnovamento delle strutture politico-sociali come conseguenza dell'abbattimento dei preesistenti regimi democratici, consentendo pertanto la formazione e l'affermazione di una nuova classe dirigente, può essere considerato una forzatura storica codificare in schemi la Resistenza europea. Tradizioni politiche e culturali, caratteristiche geografiche dei territori, tipo di occupazione e di governo imposto, ampiezza della solidarietà interna, aiuti ricevuti dall'esterno, ma soprattutto i diversi tempi, per attuazione e durata, in cui si è verificata l'occupazione non consentono di identificare una linea operativa generalizzata. Né fu concertata una strategia comune da parte degli Alleati. Il significato morale e militare delle minoranze in armi, sorrette dalla protesta passiva della popolazione, a tutto danno della propaganda fascista e dell'apparato politico-economico instaurato con la forza dagli oppressori, fu più ampiamente riconosciuto a guerra conclusa. Durante la lotta gli Alleati fornirono armi, viveri e danaro alla Resistenza, ma ne minimizzarono l'importanza negandone l'autonomia. Tale scelta rivelava quella necessità di spazio di manovra politico-diplomatica (o più semplicemente ideologica) sulla quale le tre grandi potenze contavano per la spartizione del mondo, una volta sconfitto il nazifascismo, così come avvenne poi puntualmente negli incontri tra i rappresentanti dei Paesi vincitori. È comunque accertato come la Resistenza europea, dall'estate 1940 all'autunno del 1942, avesse un concreto appoggio quasi esclusivamente dal governo di Londra, mentre dal novembre 1942 all'aprile 1944 anche gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica aiutarono i partigiani in lotta. Dalla primavera del 1944, cioè dopo Stalingrado, l'Unione Sovietica si impegnò negli aiuti ai Paesi dell'Europa orientale; gli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna si occupava dei piccoli Paesi del centro Europa, si distinsero per il monopolio dei rifornimenti.
La Resistenza nell'Europa occidentale
Nell'Europa occidentale quasi tutte le nazioni furono impegnate nella lotta all'invasione nazista e al governo collaborazionista, emanazione dell'occupante. Anche in Germania l'opposizione sorse contemporaneamente all'affermazione del nazismo, pur non trasformandosi mai in una lotta popolare o comunque armata. La polizia del regime agì con spietata determinazione praticando una guerra totale nei confronti degli uomini e delle idee. Decine di migliaia di deportati furono raccolti nei campi di concentramento; molti dissidenti fuggirono all'estero, specialmente i perseguitati dalle leggi razziali. In tale contesto oscurantista rifulsero, forse eccessivamente, l'episodio del “Circolo della Rosa Bianca” (febbraio 1943) dei fratelli Scholl e l'attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Fuori della Germania, e cioè nell'Unione Sovietica, fu costituito il Comitato nazionale “Germania Libera” per iniziativa di comunisti tedeschi, sfuggiti alle repressioni hitleriane, nonché di ufficiali e soldati prigionieri. Anche in Austria i movimenti illegali sorsero con l'instaurarsi della dittatura; ma fu solamente con la guerra che si ebbero le prime manifestazioni di nuclei armati di partigiani attivi nella fascia alpina, sostenuti, quando la sconfitta militare tedesca si era ormai delineata, da disertori austriaci della Wehrmacht. In Francia, nei giorni stessi della capitolazione, il generale de Gaulle aveva inviato da radio Londra un drammatico messaggio alla nazione: “La fiamma della Resistenza francese non deve spegnersi e non si spegnerà” (18 giugno 1940). Nasceva da allora il Movimento di Liberazione francese attivo in due organizzazioni: quella delle “Forces Françaises Libres” (FFL), composta dalle truppe che al seguito di de Gaulle agivano precipuamente nei Territori d'Oltremare, e le “Forces Françaises de l'Intérieur” (FFI), unificazione di molte formazioni spontanee che agivano nel territorio metropolitano guidate prevalentemente dagli uomini di sinistra. Il problema dell'unificazione fu risolto nel maggio 1943 con la costituzione di un Consiglio nazionale (CNR) il quale continuò a indicare nel generale de Gaulle il rappresentante ufficiale della Resistenza francese presso le nazioni democratiche. Parallelamente le organizzazioni politiche dell'interno e le formazioni partigiane (maquis) continuarono a mantenere un'assoluta autonomia che permise più tardi di convogliare l'attenzione anche sul Paese da rinnovare: la nuova Francia degli uomini e delle istituzioni. Migliorati i sistemi di comunicazione, con una massiccia attività propagandistica, incrementate le azioni di sabotaggio ai danni dei Tedeschi (dal 1944), avvenuto lo sbarco in Normandia, le formazioni partigiane – considerate truppe regolari, a tutti gli effetti, dell'esercito francese – allargarono l'area d'intervento collegandosi all'azione degli Alleati. Dopo Parigi (25 agosto 1944) i partigiani francesi liberarono, senza appoggio alcuno, metà del territorio nazionale che includeva alcune delle maggiori città del Paese. Nei Paesi Bassi si rivelò determinante la mancata collaborazione, a livello governativo, con i nazisti per la fuga in Inghilterra della regina GiulianaL'Olanda tutta rifiutò ogni forma di collaborazione con l'occupante, e gli scioperi del 1941 e del 1943 furono tra i più significativi e imponenti nell'Europa stretta nella morsa nazista. Manifestazioni di solidarietà con le vittime del terrorismo testimoniarono il rifiuto olandese di ogni forma di compromesso con l'ideologia nazista, la quale, dal punto di vista militare, fu sporadicamente combattuta con modeste azioni di sabotaggio, per quanto lo consentiva il territorio di quel Paese, pianeggiante e quindi facilmente controllabile. In Belgio la Resistenza armata, espressa dalle due grandi organizzazioni “Armée secrète”, composta quasi totalmente da militari, e “Front de l'Indépendence”, soprattutto comunista, praticava apertamente la guerriglia. La stampa clandestina, diffusa capillarmente, sosteneva il Movimento di Liberazione, informava sulle lotte interne, dando al contempo notizie sull'andamento della guerra. Una pubblicazione in lingua tedesca era diretta esclusivamente all'invasore. Notevole la rete informativa affidata ai centri-radio disseminati per il Paese e combattuti, spesso senza risultato, dai nazisti che temevano i collegamenti con gli Alleati. Nell'Europa settentrionale la riprovazione morale e l'opposizione ideologica prevalsero largamente sulla lotta armata delle bande. Tuttavia, per quanto fosse attiva la polizia di regime, nuclei ben organizzati poterono realizzare importanti operazioni di sabotaggio, specie in Norvegia, e impostare difficili contatti con il comando alleato britannico. In Danimarca la lotta clandestina ebbe struttura unitaria a partire dal luglio 1943, allorché fu costituito il Consiglio danese della libertà che diffuse centinaia di migliaia di copie di stampa clandestina, protesse con successo gli ebrei dalle persecuzioni razziali e promosse azioni di sabotaggio. Clamoroso fu lo sciopero di Copenaghen del giugno 1944, al quale prese parte l'intera popolazione e che si tradusse in uno scontro armato nelle strade. Dimostrando un alto senso di responsabilità, nella più totale stima e nel rispetto della popolazione, i dirigenti della Resistenza frenarono immediatamente l'esplosione di violenza, evitando un massacro e rinviando tempestivamente i dimostranti ai posti di lavoro.
La Resistenza nell'Europa orientale
Per quanto riguarda l'Europa orientale, la Cecoslovacchia, occupata dai nazisti fin dai primi mesi del 1939, si oppose subito all'invasore con manifestazioni di protesta e poi, una volta disciplinata l'attività, con la costituzione dell'UVOD, il Comitato Centrale della Resistenza Interna, in collegamento con il governo in esilio. Il 27 maggio 1942, con l'uccisione del Reichsprotektor R. Heydrich, i partigiani cechi effettuarono l'attentato forse più clamoroso della Resistenza europea; ma lo scontarono duramente incorrendo nelle stragi perpetrate dalla rabbia nazista che distrusse interi villaggi e ricorse alle deportazioni in massa. Gli scampati accorsero a rafforzare le bande partigiane e nel 1944, mentre l'Armata Rossa si avvicinava alle frontiere cecoslovacche, furono attuati quegli accordi già patteggiati a Mosca tra Beneš e i dirigenti sovietici (dicembre 1943). La Resistenza ceca culminò nell'insurrezione di Praga del 5 maggio 1945. Partigiani e popolazione con centinaia di barricate nella capitale tennero in scacco le truppe naziste bloccandole fino all'arrivo delle divisioni sovietiche. La Polonia, la prima nazione invasa dalle armate naziste allo scoppio della seconda guerra mondiale, ebbe il triste primato di ospitare il maggior numero di campi di concentramento. Con il governo in esilio, il peso della lotta gravò interamente sulle forze partigiane che agivano all'interno del Paese tra grandi difficoltà, anche ideologiche, divise come erano tra i militanti di stretta osservanza comunista e quelli che si richiamavano idealmente al governo in esilio. Episodio centrale del dissidio fu l'insurrezione di Varsavia (1º agosto 1944), appoggiata dal governo di Londra e protrattasi per due mesi (fino alla distruzione della città operata dai Tedeschi), senza alcun intervento da parte delle truppe sovietiche. Nel dicembre dello stesso anno il governo di Lublino (l'ex Comitato polacco di Liberazione nazionale) si autoproclamò governo provvisorio e i Sovietici avallarono un mese dopo tale presa di posizione, riconosciuta poi dagli Alleati alla Conferenza di Yalta. In Iugoslavia, per caratteristiche e dimensioni, la Resistenza costituì un fenomeno del tutto unico e irripetibile nell'ambito dei movimenti europei di Liberazione. L'armata popolare comunista guidata da Josip Broz (Tito) dovette far fronte, oltre che alle divisioni naziste rinforzate da contingenti ustascia, al movimento nazionalista serbo di Mihajlović (nominato, dal governo in esilio a Londra, capo della Resistenza iugoslava). I notevoli risultati militari ottenuti da Tito, il quale offriva concretamente alla nazione nuove prospettive politico-sociali, indussero gli Inglesi ad abbandonare Mihajlović (spostatosi chiaramente a destra) e ad appoggiare i comunisti. Il dissidio fra Tito e Stalin, acuitosi negli anni postbellici, privò il movimento iugoslavo dell'appoggio sovietico, ma conferì alla Resistenza di quel Paese un carattere marcatamente autonomo che risultò con maggiore evidenza a guerra ultimata. Nell'autunno del 1943 Tito dominava ormai le zone montuose della Bosnia, della Croazia e del Montenegro. Il 20 ottobre 1944 Belgrado era liberata, antefatto alla liberazione di tutto il Paese avvenuta nell'aprile del 1945. Contrastante e tragica fu la situazione greca dove, oltre alla lotta armata contro l'invasore straniero e contro la dittatura del 1936 voluta dalla monarchia, avvennero drammatici scontri tra le diverse organizzazioni ispirate a ideologie radicalmente opposte. Si ricordano l'ELAS, Esercito Nazionale Popolare di Liberazione, comunista, l'EDES, Unione Filomonarchica di Militari, e l'EKKA, Movimento di Liberazione Nazionale e Sociale. I gruppi, in aperta rivalità, si scontrarono con violenza, ma nel febbraio 1944 trovarono un accordo e concertarono la lotta contro i Tedeschi. Nel dicembre dello stesso anno, cacciati i nazisti, ripresero le ostilità interne. La reazione, sostenuta dai britannici che volevano instaurare la monarchia in funzione antisovietica, avvilì il significato e le prospettive della Resistenza greca. I comunisti non accettarono l'imposizione inglese, rifiutando di deporre le armi. La guerra civile, terminata con la vittoria monarchica, sconfisse anche la Resistenza, generando nei Paesi europei il timore per il “deterrente greco”, cioè il pericolo di veder instaurati governi con la copertura alleata. Nelle zone dell'URSS occupate dalle truppe tedesche il movimento partigiano sorse spontaneo, con caratteristiche patriottiche e nazionalistiche, nell'impossibilità di concordare una comune linea operativa con il partito e con l'Armata Rossa, strenuamente impegnati nella difesa dei maggiori centri strategici. Dal 1942, organizzati dal partito, i partigiani sovietici attaccarono duramente i nazisti. Quando l'Armata Rossa cominciò la fase offensiva, la lotta clandestina, non più differenziata dall'attività dell'esercito, logorò le forze tedesche, impedendone e sconvolgendone i movimenti.
La stampa resistenziale in Italia
Secondo un limite rigido sotto questa voce dovrebbero essere ricordati i giornali e le riviste stampati alla macchia durante l'occupazione nazifascista dell'Italia dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, ma rimarrebbero esclusi quelli del periodo fascista vero e proprio, che a buon diritto si possono includere in quanto mantennero viva l'aspirazione a un governo libero e democratico. Alludiamo, per esempio, a La Critica di Croce, alla Riforma sociale e alla successiva (1936) Rivista di storia economica di Einaudi che, evitando prese di posizione politiche troppo palesi, continuarono a diffondere i valori morali e civili soffocati dalla dittatura, e, nel campo cattolico, a Studium, Ricerca e Principi; alle riviste Critica Sociale di Turati, La Rivoluzione liberale di Gobetti, Il Caffè di Parri e Bauer, Quarto Stato di Rosselli e Nenni, che, più scoperte nell'opposizione, dovettero cessare tra il 1925 e il 1926; e infine a due riviste clandestine: Alleanza Nazionale, fondata a Roma da Lauro De Bosis come portavoce dell'omonima organizzazione antifascista, e, di poco posteriore (1925), a Firenze, Non mollare di Carlo Rosselli e di Ernesto Rossi. Il rigore della censura e della polizia fasciste, tra il 1926 e il 1928, si andò inasprendo tanto da eliminare quasi completamente la stampa di opposizione, la quale cercò riparo all'estero, soprattutto a Parigi, che divenne il centro di maggiore attività. Qui ripresero o iniziarono le pubblicazioni giornali vecchi e nuovi, tra cui l'Unità, Lo Stato operaio e Riscossa del PCI; Giustizia e Libertà e i Quaderni di “Giustizia e Libertà” dell'omonima organizzazione; Libertà, settimanale della “Concentrazione antifascista”, diretto da Treves con la collaborazione di Turati, Nitti, Tarchiani, Nenni, Sforza, Sturzo, Salvemini, Valiani; La Giovane Italia, L'Italia del Popolo, L'Iniziativa dei repubblicani; l'Avanti! e Rinascita Socialista del PSI; L'Operaio della “Confederazione generale del lavoro”; la Rivendicazione degli anarchici. In Italia, verso la fine degli anni Trenta, i giornali di alcuni gruppi universitari fascisti, particolarmente Il Bo' di Padova (1937-38), cominciarono a denunciare l'insofferenza della gioventù studentesca. Con la caduta del fascismo (25 luglio 1943) la stampa ritornò libera, pur sotto il severo controllo del governo Badoglio, ma in seguito all'armistizio dell'8 settembre, nelle regioni occupate dai Tedeschi, dovette adattarsi alle loro imposizioni o ritornare clandestina. Questa, nonostante le difficoltà e i rischi gravissimi, fu abbondante e varia, sia come veste (giornali, riviste, opuscoli, fogli, manifestini: a stampa, ciclostilati, dattiloscritti e talvolta anche manoscritti) sia come contenuto (da notiziari occasionali alla divulgazione spicciola, a quella, più elaborata, di idee e di principi ispiratori della Resistenza e dei partiti di opposizione al fascismo). Si può distinguerla in due gruppi: la stampa partigiana e la stampa politica. La prima, meno legata ai partiti, ebbe carattere militare e fu stampata o ciclostilata in piccoli centri da giovani raramente del mestiere. Pertanto fu tecnicamente primitiva ed ebbe un contenuto in prevalenza circoscritto all'interesse della lotta armata ma con giustificazioni politico-sociali proprie delle formazioni; cercò di divulgare un clima di solidarietà tra gli Italiani. Testimonia, nella gioventù educata dal fascismo, la travagliata ricerca di un nuovo orientamento insieme politico, sociale e morale. Tra questi giornali si ricordano: Il Combattente, uscito nell'ottobre del 1943; nel 1944, Il Partigiano alpino di Giustizia e Libertà, Il Guerrigliero delle “Mazzini”, Il Guerrigliatore delle “Mameli”; nel 1945, La disfida, Le Cinque Giornate della Resistenza ticinese-lariana, il Fuori legge dei partigiani della Valtoce, la Stella Alpina dell'Oltrepò, Brescia libera, Il ribelle delle “Fiamme Verdi”. Stanno un po' a sé per la funzione ufficiale e coordinatrice: Liberazione, bollettino del CLNAI (15 ottobre 1943) e Il Partigiano, edito a Milano dal 15 giugno 1944 come organo delle forze rivoluzionarie partigiane. Invece la stampa politica, pubblicata quasi sempre in città, fu organizzata dai partiti che, ridotti alla clandestinità dopo il breve periodo badogliano, preparavano il ritorno alla democrazia. Fu più matura nella tecnica e nei contenuti. Affrontò problemi più profondi, divulgando idee e principi attinti dal patrimonio dei movimenti politici di cui era espressione e dall'esperienza di uomini che avevano conosciuto la vita democratica del passato. Tra i partiti più attivi e meglio organizzati furono il PCI, il PSI, il Partito d'Azione e la DC con l'appoggio dell'Azione Cattolica. Con qualche anticipazione alla fine del 1943, furono editi dal 1944 l'Unità, l'Avanti!, Il Popolo, L'Italia libera e Giustizia e Libertà (Partito d'Azione); L'Italia del Popolo (PRI); nel 1945: La Voce Repubblicana e il liberale La Libertà. Alcune pubblicazioni si rivolsero a settori particolari, come Noi donne (1944) del Fronte di difesa della donna, La Compagna (1944) socialista, La Fabbrica (1943) sindacale, Umanità e La nuova Critica Sociale (1943) dell'Unione dei Lavoratori Italiani, L'Italia degli studenti (1943) aderente al Partito d'Azione, e dello stesso l'Azione contadina (1944), i socialisti La Terra e L'Operaio (1944), La Falce (1945) dei Comitati dei contadini, le Battaglie del lavoro (1945) dei lavoratori democratici cristiani; per gli impiegati e i professionisti: L'Edificazione socialista, La voce dell'impiegato, Il giornale del medico, Il Comune, per i dipendenti degli enti locali, (tutti del 1944) e Il Ferroviere (1945). Anche i movimenti giovanili ebbero i loro fogli: Risorgere (1943) del Movimento nazionale universitario, f d g (1944) del Fronte della gioventù, Gioventù d'Azione (1944) e Gioventù liberale (1944).
Letteratura: la Resistenza in Italia
Nel pieno della II guerra mondiale e durante l'occupazione tedesca della Penisola, dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, si sviluppa una letteratura ispirata alle situazioni e agli eventi di quel periodo. Raccolti intorno al denominatore comune dell'antifascismo gli autori sono di diversa estrazione: scrittori, uomini politici, intellettuali e operai, clandestini e fuorusciti, combattenti e prigionieri; estremamente diversificato è anche l'arco degli atteggiamenti e delle posizioni politiche che spesso vede il dissenso tra le forze innovatrici della Resistenza e i politici; diversi pure i linguaggi e i “generi”, che vanno dalla lettera e dal diario alla cronaca, alla narrazione storica; dall'orazione al proclama; dalla lirica alla canzone dialettale che celebra con tratti epici la vita partigiana. Premessa alla letteratura della Resistenza è la letteratura antifascista contemporanea alla nascita e all'affermarsi del fascismo. Molto fitta la schiera dei politici, dei pensatori o degli studiosi di ispirazione liberal-mazziniana, che nel fascismo vedevano lo sbocco dell'involuzione e dell'incompiutezza del Risorgimento; tra questi, Giovanni Amendola con i Discorsi politici (1924), Piero Gobetti, Carlo Rosselli con Oggi in Spagna, domani in Italia (1938), Gaetano Salvemini, Carlo Sforza, Leone Ginzburg. Nell'ambito della letteratura che riflette esperienze di confino e di carcere non mancano opere considerevoli, come Marcia su Roma e dintorni (1933) di Emilio Lussu. Accanto a questi, gli autori di ispirazione marxista, quali Bruno Buozzi, Pietro Nenni, Giacomo Matteotti e Antonio Gramsciche all'attività rivoluzionaria accompagna una lucida ricerca intellettuale sulla storia e i caratteri della cultura italiana, rispecchiata nei Quaderni del carcere e nelle (1947). Un valore di testimonianza e di incitamento alla lotta hanno i documenti civili, la stampa clandestina e i documenti del Partito d'Azione, di Concetto Marchesi, Umberto Zanotti Bianco, Piero Calamandrei. Le opere memorialistiche assumono spesso intonazioni narrative, qui le vicende umane e quelle storiche si fondono in una cronaca quotidiana che registra fedelmente le esperienze della prigionia, le torture efferate, la lotta partigiana in città e in montagna, in cui spesso emergono come protagoniste figure femminili: Memorie di un'antifascista (1919-1940) (1946) di Barbara AllasonTempo dei vivi (1954) di Bianca Ceva; Diario partigiano (1956) di Ada Gobetti. Le voci dei protagonisti della Resistenza, di ogni ceto, si ritrovano nelle Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (1952). Opere come Se questo è un uomo (1947), di Primo Levi, o Si fa presto a dire fame, di Piero Caleffi, aprono il capitolo della letteratura dei campi di sterminio. Oltre ai libri di memoria, già nell'immediato dopoguerra fiorisce una vivissima letteratura resistenziale, con i suoi più prestigiosi esempi in Uomini e no (1945) di Vittorini, Il compagno (1947), La luna e i falò (1950) di Pavese, I ventitré giorni della città di Alba (1952), Il partigiano Johnny (postumo, 1968) di Fenoglio, Tutti i nostri ieri (1952) di Natalia Ginzburg, in cui la guerra partigiana si volge in epopea e la realtà, pur aspra e asciutta, e a volte contraddittoria, come in Pavese, volge al mito. Accanto a esse si collocano Paura all'alba (1945) di A. Benedetti, Il sentiero dei nidi di ragno (1947) di I. Calvino, L'Agnese va a morire (1949) di Renata Viganò, Una notte del '43 di G. Bassani, e ancora i romanzi e i racconti di Cassola, Pratolini, Tobino, Bilenchi, Silone e Brancati degli altri protagonisti del neorealismo letterario, e i volumi di versi Con il piede straniero sopra il cuore (1946) di S. Quasimodo, Foglio di via (1946) di F. Fortini, le liriche di U. Saba, S. Solmi, E. Montale, G. Ungaretti.
Letteratura: la Resistenza in Europa
Va notato che in tutte le letterature europee è stato vissuto e consacrato il tema della Resistenza. Esso ha trovato i suoi primi cantori nelle file stesse dei combattenti. In Francia la letteratura sulla Resistenza nacque con l'armistizio del 1940, che subito divise i difensori della libertà dai collaborazionisti di Vichy. Poesie e racconti cominciarono ad affluire alle riviste Confluence di Lione, Poésie 40 di Villeneuve-lès-Avignon e Fontaine di Algeri, fino a maturare nell'immediato dopoguerra in opere di altissimo livello dovute a P. Éluard, J. Cassou, F. Mauriac, J.-P. Sartre e A. Camus, il quale ultimo dalle Lettres à un ami allemand (1945) giunse al capolavoro La peste (1947) con un'analisi spietata e simbolica del mondo nazifascista. L'opera uscì in quello stesso anno in cui appariva Le silence de la mer di Vercors (1a edizione clandestina 1942), destinato a restare come un classico, cristallizzazione di un momento meditativo sui mali dell'uomo. Ispirata da un sentimento esplosivo di fede nella lotta e nei diritti dell'uomo, la letteratura europea scaturita dall'esperienza della Resistenza fiorì nei versi bellissimi di T. S. Eliot (Four Quartets, 1943, Quattro quartetti), nelle pagine graffianti di B. Brecht che andavano concludendo le sue Hundert Gedichte (1951; Cento poesie), in quel “monumento di umanità”, secondo la definizione di T. Mann, che furono le Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea (1954), cui va affiancato un documento straziante nella sua semplicità, il Diario di Anne Frank (1947). Testimonianze e opere d'arte si alternano sui valori della Resistenza, sul significato della lotta di Liberazione, con una ricchezza e un'intensità forse uniche nella storia moderna. Basterà ricordare The Scourge of the Swastica (1954; Il flagello della svastica) di E. F. Langley Russell, Ricorda che cosa ti ha fatto Amalek (1958) di A. Nirenstain, Breviaire de la haine (1951; titolo it., Il nazismo e lo sterminio degli ebrei) di L. Poliakov, The Final Solution (1953) di G. Reitlinger, La giovane guardia (1945) di A. A. Fadeev, Nelle trincee di Stalingrado (1946) di V. P. Nekrasov, Nicola di ferro (1942) di I. Doncević, il poema Elegia per un ragazzo polacco (1944) di K. Baczyński, La selva dei morti (1945) di E. Wiechert. Meno vasta la letteratura teatrale, che ha pur sempre espresso opere come La luna è tramontata (1942) di J. E. Steinbeck (riduzione da un'opera narrativa), Les nuits de la colère (1946) di A. Salacrou e Les mains sales (1948) di J.-P. Sartre, ancora una volta accomunando i problemi della Resistenza con quelli della lotta all'invasore. Accanto alle manifestazioni d'arte cominciarono a fiorire anche opere di saggistica e studi storici in un'indagine rigorosa su uno dei periodi più amari e più tragici della nostra storia in cui l'uomo ha riconquistato, a prezzo altissimo, il diritto alla libertà.
Arte: la Resistenza in Italia e in Europa
Il contributo che gli artisti italiani diedero alla Resistenza, a cui numerosi tra essi, come A. Sassu, R. Guttuso, M. Basaldella, A. Pizzinato, E. Vedova, parteciparono attivamente, trova la sua matrice nella precedente opposizione al fascismo, riprendendone in condizioni mutate le motivazioni ideali. Tra questi precedenti sono almeno da citare le prime opere di denuncia di M. Mafai (Demolizioni, 1935-37, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna), quelle dedicate da Sassu e Guttuso alla guerra di Spagna, l'attività del gruppo milanese di Corrente (1939-40) e, dopo il 1940, le prese di posizione sempre più drammatiche contro la dittatura, il militarismo e la guerra, espresse da L. Spazzapan, A. Fabbri, M. Mazzacurati, G. Manzù. Questa rivolta morale, che toccò tutti i toni della vena satirico-grottesca e di quella drammatico-espressionista, fino ad accenti di profonda e dolente umanità, approdò dopo il 1943 al punto massimo di coesione tra coscienza politica e forma artistica: sono del 1944 gli 86 disegni di R. BirolliItalia 1944, ispirati a episodi avvenuti nel Veneto e in Lombardia, e i 24 disegni del Gott mit uns di Guttuso, che riprendono scene dell'occupazione tedesca di Roma. L'assoluta immediatezza e l'estrema sincerità, che brucia ogni preoccupazione formale, conferiscono a questi disegni (più asciutti, diretti, brucianti quelli di Birolli, più densi, veementi, eloquenti quelli di Guttuso) una dignità artistica che supera il semplice, ma pur elevato, valore di testimonianza storica. In un periodo di tempo molto breve (1944-45), poche altre opere mostrano la stessa intensità (bisogna almeno ricordare la ceramica di L. Leonardi, Madre romana uccisa dai tedeschi, 1944, Roma, collezione Terenzi, e i grandi, tumultuosi disegni di E. Vedova, noti come Diario partigiano): tuttavia in questo momento particolarmente fervido maturarono tematiche e modi espressivi che trovarono il loro successivo sviluppo nelle forme del neorealismo italiano. Diverso discorso è quello legato alle molte iniziative successive alla Liberazione: a parte la prima grande mostra de “L'arte contro la barbarie”, tenuta a Roma nell'agosto-settembre 1944, è indubbio, per esempio, che i molti monumenti dedicati alla Resistenza in tutta Italia non riescono in genere a sfuggire alle insidie del tono celebrativo ed encomiastico: nessuno di essi ha più raggiunto la forza espressiva ed emotiva, rappresa in un'eccezionale sintesi astratta, della cancellata per le Fosse Ardeatine (1949-50) di Mirko Basaldella. § Un accenno sia pur breve va fatto all'apporto dato da artisti di tutto il mondo alla lotta antifascista prima e alla Resistenza poi. Se pittori come M. Ernst, G. Grosz, P. Klee, O. Kokoschka, P. Picasso, E. Barlach, M. Chagall, J. Miró sono stati i primi a denunciare i pericoli del nazifascismo, successivamente l'arte testimoniò i valori della Resistenza, trovando dappertutto la forza espressiva che già aveva ispirato le opere di Goya, fiero oppositore dell'imperialismo francese, e temprandosi all'implacabile denuncia del Picasso di Guernica (1937, Madrid, Centro de arte Reina Sofia) e alla spietata, virulenta rivelazione di Kokoschka, che con il suo Uovo rosso (1938) aveva lanciato una sfida e un ammonimento a Hitler e a Mussolini. Sull'antifascismo si innestò quindi l'arte della Resistenza che trovò gli accenti più forti in Austria con E. Gaertner, C. Hauser, G. Frankl, T. Waehner; in Belgio con J. Ochs; in Cecoslovacchia con F. Muzika; in Francia, con G. Rouault, L. Coutaud, J. Bazain; in Germania, con M. Beckmann e W. Baumeister, L. Grundig; in Gran Bretagna, con H. Moore e G. Sutherland; in Polonia, con T. Trepkowski e W. Linke; in Ungheria, con B. Por, per non citare i russi il cui contributo all'arte della Resistenza e all'illustrazione della lotta di Liberazione è stato vastissimo, in un panorama mondiale di cui, peraltro, si è dato solo una sommaria indicazione.
Cinema
In Italia, il cinema di Resistenza nacque quando ancora il Paese era direttamente impegnato nel conflitto, con i documentari sulla lotta partigiana. A Liberazione avvenuta, Resistenza e antifascismo confluirono in quel grande fenomeno di autocoscienza civile che fu il neorealismo, dando subito opere del livello di Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) di R. Rossellini, mentre Il sole sorge ancora (1946) di A. Vergano tentò una prima analisi di classe e segnò il passaggio dalla lotta per la libertà a quella per la giustizia sociale che ne conseguiva. Tuttavia la condizione politica interna rese arduo e sporadico il ritorno a contenuti resistenziali diretti e il loro necessario approfondimento. Achtung, banditi! (1951) di C. Lizzani si dovette realizzare (come il successivo Cronache di poveri amanti, 1954) con una Cooperativa spettatori-produttori, Gli sbandati (1955) di F. Maselli si accostò al tema sul versante psicologico, mentre su quello storico soltanto un gruppo di cortometraggi (il primo fu Lettere di condannati a morte della Resistenza, 1953, di F. Fornari) si assunse il compito di ricordare, negli anni Cinquanta, i personaggi dell'antifascismo (Gramsci, Matteotti, i fratelli Rosselli, i fratelli Cervi) e i luoghi dei crimini nazisti (San Miniato, Mauthausen, via Tasso, Marzabotto). Una seconda stagione del film a soggetto si aprì ambiguamente con il recupero rosselliniano (Il generale Della Rovere, 1959; Era notte a Roma, 1960) cui seguirono La lunga notte del '43 (1960) di F. Vancini, Un giorno da leoni (1961) e Le quattro giornate di Napoli (1962) di N. Loy, Il terrorista (1963) di G. De Bosio, che affrontò l'esame ideologico-politico dei Comitati di Liberazione, I sette fratelli Cervi (1968) di G. Puccini, Corbari (1970) di V. Orsini, L'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale (1975) di G. V. Baldi, L'Agnese va a morire (1976) di G. Montaldo, dal romanzo di Renata Viganò. Nel campo documentario emergono, per la ricchezza dei materiali e delle testimonianze, i due film di montaggio Lotta partigiana di P. Gobetti e G. Risso e Resistenza, una nazione che risorge (1975) di A. Giannarelli. Ritornano a temi resistenziali film come Uomini e no (1980) di V. Orsini, dal romanzo di E. Vittorini che doveva passare sullo schermo fin dall'immediato dopoguerra, o come La notte di San Lorenzo (1982) di P. e V. Taviani, che rivisita la materia con uno sguardo più moderno. Anche nel resto dell'Europa si ebbero dapprima solo documentari sulla lotta partigiana o, come in URSS, sulla guerra patriottica (celebre La battaglia per la nostra Ucraina Sovietica, 1943). Gli Stati Uniti nel 1940 con Chaplin (Il grande dittatore) avevano aperto le ostilità contro Hitler; il cinema produsse ben presto una serie di pellicole spettacolari, spesso affidate a registi di provenienza europea, sulla Resistenza in Germania (La settima croce, 1944, di F. Zinnemann) e nei Paesi occupati, quali Polonia (Vogliamo vivere, 1942, di E. Lubitsch), Cecoslovacchia (Anche i boia muoiono, 1943, di F. Lang su soggetto di Brecht), Francia (Questa terra è mia, 1943, di J. Renoir; La croce di Lorena), Norvegia (La luna è tramontata, La bandiera sventola ancora), URSS (Fuoco a Oriente, 1943, di L. Milestone; Contrattacco, 1945, di Z. Korda). Fu un cinema di degna propaganda ma sostanzialmente d'avventure (trattò anche il fronte asiatico, antigiapponese), che solo più tardi sfociò nel lucido riepilogo democratico di Vincitori e vinti (1961) di S. Kramer. Diversa la situazione nei Paesi investiti dalla bufera e ben altro lo “spirito di Resistenza” che accese gli schermi a Liberazione appena avvenuta. La Francia realizzò film d'eccezione come La bataille du rail (1946, titolo it. Operazione Apfelkern) di R. Clément, ma esaurì la tensione iniziale ancor prima dell'Italia. Si possono comunque citare Eroi senz'armi (1946) dello stesso Clément, Il silenzio del mare (1949) di J.-P. Melville dal romanzo di Vercors, la coproduzione franco-norvegese La battaglia per la bomba atomica (1948), Gli evasi (1955) di J.-P. Le Chanois ch'era stato un autentico resistente e, nel 1956, Un condannato a morte è fuggito di R. Bresson (la Resistenza “interiorizzata”) e Notte e nebbia di A. Resnais, documentario sui campi di sterminio. Sull'universo concentrazionario, sulle gesta dei partigiani, sulla difesa di popolo, sugli ideali della Resistenza e, più tardi, sui problemi da essa posti, sono state edificate intere cinematografie postbelliche. In URSS queste tematiche coincisero con quella più generale della grande guerra patriottica, e sotto tale veste si presentò il cinema sovietico al pubblico italiano nel primissimo dopoguerra (Compagno P., 1943, di F. Ermler; Arcobaleno, 1943, e Indomiti, 1945, di M. Donskoj; ecc.). La Polonia con Ultima tappa (1947) di W. Jakubowska e Fiamme su Varsavia (1948) di A. Ford fece conoscere al mondo i suoi due cineasti d'anteguerra, mentre la seconda generazione formata dalla guerra (Wajda, Munk, ecc.) esaminò poi ogni aspetto legato all'occupazione e alla Liberazione. La Cecoslovacchia esordì addirittura con un cortometraggio a pupazzi animati per bambini (La rivolta dei giocattoli, 1946, di H. Tyrlová) e scandì per due decenni gli aspetti drammatici resistenziali attraverso ottimi film. Eloquente il confronto tra le due Germanie: nella Repubblica Democratica Tedesca s'iniziò immediatamente (Gli assassini sono tra noi, 1946, di W. Staudte) quell'esame di coscienza che nella Repubblica Federale di Germania fu rimandato alla metà degli anni Cinquanta (e con film di Pabst e di Käutner non proprio limpidi). Quanto al cinema iugoslavo, anche in anni successivi al dopoguerra in cui effettivamente nacque, esso ha concesso alla Resistenza e alla guerra partigiana la parte prevalente della sua produzione.
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