La Russia da Krušcëv alla perestroijka
- Introduzione
- L'URSS dal dopoguerra alla destalinizzazione
- La primavera di Praga
- L'URSS da Brežnev a Gorbacëv
- La Cina
- Approfondimenti
- Riepilogando
L'URSS dal dopoguerra alla destalinizzazione
La via per la ricostruzione post-bellica in URSS era tutta in salita. Stalin impose duri sacrifici alla popolazione controllata dalla polizia e dai servizi segreti e sfruttò le economie dei paesi comunisti a proprio vantaggio: dove la classe dirigente non si piegò alla volontà sovietica, Stalin ordinò arresti e processi farsa, spesso conclusisi con la condanna a morte degli imputati (morirono tra gli altri il bulgaro Kostov, 1949, i cecoslovacchi Slansky e Clementis, 1952). Quando Stalin morì (5 mar. 1953) il potere passò nelle mani di una direzione collettiva il cui esponente principale divenne ben presto Nikita Sergeevic Krušcëv (1894-1971), eletto segretario del Partito Comunista (sett. '53). Immediatamente iniziò un processo di destalinizzazione: finì la politica del terrore e si cercò di migliorare il tenore di vita delle masse. Al XX congresso del PCUS (mar. 1956), Krušcëv presentò due rapporti. Il primo, pubblico, ammetteva la coesistenza capitalismo/comunismo in un clima di competizione; il secondo, segreto, demoliva la politica di Stalin a causa dei metodi palesemente non socialisti. Poco dopo il leader sovietico estromise dalla direzione buona parte della vecchia nomenklatura staliniana. Ormai detentore di tutto il potere, tentò di risollevare l'economia sovietica (al punto di fare dell'URSS il vero antagonista degli USA, particolarmente in campo scientifico) con il V Piano Quinquennale (1951-55): esso provocò forti squilibri interni che, insieme alle crescenti tensioni con la Cina, alle vicende di Cuba, all'insorgere del dissenso contro il regime, portarono alla sua destituzione il 15 ott. 1964.
La destalinizzazione nelle democrazie popolari
Nel giugno 1953 masse operaie insorsero nella RDT invocando un miglioramento delle condizioni di vita. La rivolta fu sedata da truppe sovietiche; nonostante un certo ammorbidimento del regime, spinti dal desiderio di un superiore tenore di vita, molti tedeschi orientali cominciarono a fuggire in RFT. Per bloccare questo esodo, dopo gravi tensioni con gli USA, fu innalzato il 13 ago. 1961 il Muro di Berlino. Sotto la presidenza di Walter Ulbricht (1960-1971) il paese iniziò un poderoso processo d'industrializzazione. Nonostante ciò, la fuga dalla RDT non si fermò mai, anzi durante la presidenza di Erich Honecker toccò picchi inauditi. Manifestazioni più gravi, cui parteciparono gli intellettuali, si ebbero in Polonia. Nel giu. 1956, nel centro industriale di Poznan un vasto sciopero degenerò in rivolta contro l'URSS. Per questo Kruščëv si recò a Varsavia dove Waldislaw Gomulka, leader comunista arrestato nel 1952 per ordine di Stalin, fu posto alla guida del partito e del paese. Pur ribadendo l'amicizia con Mosca, il regime polacco instaurò un corso più moderato. Vi fu un rasserenamento nei rapporti con la Chiesa Cattolica: il primate, cardinale Wyszynsky, fu liberato dopo tre anni di carcere. L'ott. del '56 fu caratterizzato da una vera rivolta in Ungheria (guidata da Imre Nagy) dove, fin dall'estate, l'opposizione si era concentrata intorno agli intellettuali del circolo Petöfi. I dirigenti comunisti ungheresi rinunciarono a opporsi ai rinnovatori e riabilitarono Imre Nagy (1896-1958), ex capo del governo, espulso nel 1956 per aver tentato di liberalizzare il regime (1953-1955). A sostegno dello statista si svolsero imponenti manifestazioni. Tra il 24 e il 28 ott. il popolo si sollevò contro i Sovietici, costringendoli alla ritirata da Budapest (29 ott.). Nagy fu nominato capo del governo e il 1° nov. annunciò il ritiro dell'Ungheria dal Patto di Varsavia: l'URSS, allora, fece intervenire le truppe stroncando ogni resistenza. Nagy e i suoi alleati furono arrestati e condannati a morte. Il governo fu affidato al segretario del partito comunista Janos Kàdar che avvio una politica moderatamente riformista. In Romania (dove nel 1965 il potere passò da Gheorghiu-Dej a Nicolae Ceausescu), Bulgaria, Albania e Cecoslovacchia, la destalinizzazione non ebbe ripercussioni.