Racine, Jean
IndiceBiografia
Poeta e drammaturgo francese (La Ferté-Milon 1639-Parigi 1699). Di famiglia borghese – il padre era un funzionario statale in una cittadina dove erano andati a rifugiarsi l'anno prima della nascita del poeta dei giansenisti, alcuni dei quali avevano trovato ospitalità presso una zia materna di Racine – orfano di madre a due anni e di padre a quattro, Racine venne allevato dai nonni materni, che avevano una figlia a Port-Royal, ed ebbe una rigida educazione religiosa prima al collegio giansenista della città di Beauvais, poi a Port-Royal stesso. Il suo carattere venne plasmato alla scuola dell'intransigenza e ne restò più o meno condizionato per tutta la vita, con un ritorno acuto nella maturità. Si tenga anche presente che il poeta completò i suoi studi a Parigi, al collegio di Hercourt, anch'esso giansenista. Di vivace intelligenza, subito in contatto con i classici, lettore appassionato di tragedie, si affacciò al mondo delle lettere con madrigali e sonetti, facendosi notare per un'ode composta in occasione del matrimonio di Luigi XIV: La Nymphe de la Seine (1660). Chapelain la lodò, ma la passione per le cose profane gettò nello sconforto i parenti, che con ogni mezzo tentarono di conquistarlo alla vita religiosa, prospettandogli anche dei benefici. Racine seguì invece la vocazione poetica. Pubblicò una Ode sur la convalescence du Roi (1663) che gli fruttò una gratifica dal sovrano e l'anno dopo fece conoscere la sua prima opera teatrale: La Thébaide ou les Frères ennemies (Tebaide o i fratelli nemici). Il dramma, rappresentato da Molière, ebbe un discreto successo, ma era difficile scoprirvi le premesse di ciò che sarebbe diventato il teatro di Racine. Maggior fortuna ebbe nel 1665 Alexandre le Grand (Alessandro il Grande). Anche qui l'autore non rivelò una personalità propria: troppo evidente era l'influenza dei vari Corneille e Quinault nel suo dramma e Racine, scontento dell'interpretazione della compagnia di Molière, assai più adatta per la commedia che non per la tragedia, con poca correttezza affidò la sua opera anche alla compagnia dell'Hôtel de Bourgogne che la recitò contemporaneamente. Molière ne fu offeso, tanto più che Racine era riuscito anche a strappargli la primattrice (M.lle du Parc) che non solo passò alla concorrenza ma divenne anche la sua amante. La sua condotta gli procurò molti nemici; Racine non seppe neppure tacere di fronte a una frase del giansenista Pierre Nicole che accusava i drammaturghi di avvelenare gli spiriti. Scrisse quindi una lettera polemica (Lettre à l'auteur des hérésies imaginaires) nella quale attaccava, in un momento in cui i giansenisti erano già sotto accusa, i suoi padri spirituali. Solo l'intervento di Boileau riuscì a distoglierlo dal pubblicare una seconda lettera. Ma la rottura con Port-Royal (1666) era ormai definitiva.
Jean Racine. Un'incisione di Chéry per il Britannicus (Parigi, Musée des Arts Décoratifs).
De Agostini Picture Library/G. Dagli Orti
Jean Racine. Un'incisione di Chéry per la Berenice (Parigi, Musée des Arts Décoratifs).
De Agostini Picture Library/G. Dagli Orti
Le opere
Un anno dopo fece rappresentare la sua prima grande tragedia Andromaque (Andromaca), opera superba che manifestò il genio di colui che rappresenta con Corneille l'apoteosi del teatro drammatico francese. Racine è considerato il poeta della passione, ma è anche il poeta della naturalezza. Il suo verso è limpido, i sentimenti che esprime sono schietti e traggono la loro grandezza proprio da una semplicità che arriva, penetrante e tagliente come una spada, alle radici dell'esistenza. Una violenza primitiva sembra scatenarsi nel cuore dei suoi personaggi, che amano in senso assoluto e in senso assoluto odiano quando si vedono offesi e ingannati nei loro affetti. La complessità dei sentimenti in Racine è apparente, essa è soltanto la giustificazione dello scatenarsi repentino del contro-sentimento, che non accetta, non vuole, non cerca balsami. L'amore è fiamma altissima e come l'odio è brama di distruzione che deve manifestarsi con la stessa implacabilità annientatrice. Sodoma va distrutta all'istante, allorché la sua nefandezza è manifesta. Racine è poeta della passione, è vero, ma della passione che ha in sé il senso della distruzione. La passione è impura e chi la soffre avverte già dentro di sé il sentimento di colpa, anela alla liberazione, la cerca, fosse anche nella distruzione di sé, quasi a cercare nel sacrificio il riscatto. Nel teatro di Racine l'azione è pressoché inesistente, rado tessuto in cui s'intrecciano le passioni. Il protagonista domina la scena e la sua assenza provoca il vuoto e lo spasimo dell'attesa per la riapparizione. Andromaca, Fedra, Atalia vivono dinanzi allo spettatore e nello spettatore. Tutta l'umanità sembra concentrata nella loro passione. L'uomo, nella sua ansia di capire la ragion d'essere, di partecipare con il proprio cuore, coi propri sensi alla vita dell'oggetto amato, si concreta solenne, nel bene come nel male, nel personaggio raciniano che sembra esprimere, una volta per tutte, la confessione altissima di un tormento percepito come un groviglio inestricabile sul quale il poeta viene a gettare un lampo di luce accecante e rivelatore. In Racine l'innocenza coesiste col destino, ma il destino è tragico perché l'innocenza è la condizione fragile o sublime che conduce l'uomo alla catastrofe o alla redenzione, alla trionfale esaltazione che solo la grazia può dare. La conclusione è sempre intransigente, specchio dell'intransigenza in cui Racine venne educato e della sua formazione spirituale. Nel volgere di una decina d'anni Racine si consacrò per sempre drammaturgo e poeta sommo, con opere splendide anche se non tutte accolte senza contrasti. Dopo Andromaque fece rappresentare, sempre all'Hôtel de Bourgogne, una commedia, quasi volesse misurarsi con Molière, Les plaideurs (1668; I litiganti), ma tornò subito alla tragedia con Britannicus (1669; Britannico), sulla volontà di dominio nel conflitto tra Nerone, Britannico e Agrippina. Nel 1670, morta per avvelenamento M.lle du Parc, che vide Racine, sospettato di non essere stato all'oscuro del dramma, implicato nello scandalo, scrisse Bérénice (Berenice), recitata da M.lle de Champmeslé, la sua nuova amante, e fu tale il successo da eclissare quello del Tite et Bérénice (Tito e Berenice), commedia lirica di Corneille rappresentata a pochi giorni di distanza. Contrastata fu invece la rappresentazione di Bajazet (1672) e non trionfale il successo di Mithridate, recitata (1673) all'elezione dell'autore all'Académie de France. L'anno dopo (1674) Racine s'impose con Iphigénie (Ifigenia), uno dei più bei drammi del poeta. La problematica di Fedra, passione, odio, dannazione, salvezza, è già in quest'opera eccellente che è forse una rivelazione dei tormenti vissuti dal poeta, appassionato amante di una donna (la Champmeslé) che lo inganna e lo abbandona. Iphigénie è la premessa al capolavoro assoluto, a quella Phèdre (1677; Fedra) incompresa dai critici che le anteposero la mediocrissima opera di Pradon. Phèdre è la sua ultima opera profana: la passione incestuosa di Fedra per Ippolito erompe dai cuori con una violenza e una forza distruttrice che il teatro mai aveva conosciuto, neanche nei tragici greci. La cabala tuttavia si schierò contro Racine, che avvilito entrò in crisi. Boileau, unico, lo difese. Quasi a mitigare la sua amarezza, il sovrano lo nominò storiografo di corte. Racine, lontano ormai dalle sottili perfidie dei salotti, si riconciliò con i giansenisti: fece ammenda della cattiva lettera scritta contro Pierre Nicole scrivendo un Abrégé de l'histoire de Port-Royal in due parti pubblicate postume, la prima nel 1742 e la seconda, con la prima, nel 1767. Il grande Arnauld intanto ebbe modo di manifestare il suo apprezzamento per Phèdre e Racine si recò a Port-Royal accompagnato da Boileau, per gettarsi ai piedi di Arnauld che a sua volta si inginocchiò davanti a lui. I due si abbracciarono e Racine riprese le antiche letture in un ritorno quasi mistico. Pensò perfino di ritirarsi in convento, poi sposò Catherine de Romanet, donna virtuosa, semplice, che gli fu compagna tenerissima, anche se non ne comprese l'alto spirito poetico. Gli diede sette figli, due maschi (l'ultimo divenne biografo del padre) e cinque femmine (tre scelsero l'abito monacale). Gli ultimi vent'anni di vita Racine li dedicò alla famiglia, al suo compito di storiografo, senza più pensare al teatro finché M.me de Maintenon non pregò di scrivere un'opera per le collegiali nobili di Saint-Cyr. Nacquero così due capolavori, Esther (1689; Ester) e Athalie (1691; Atalia), entrambi di argomento biblico, l'uno sulla persecuzione degli Ebrei e la loro liberazione, l'altro sul dramma della crudele regina destinata a perdere il trono: l'opera è in pari tempo l'annuncio che la nuova Gerusalemme, la Chiesa, trionferà sulla Gerusalemme corrotta. Il mondo nuovo ha bisogno di amore e di Dio, Athalie è l'eroina empia che deve soccombere. La tragedia è il capolavoro cristiano di Racine, il suo atto di fede in onore di Port-Royal e la conferma del suo spirito riconquistato alla grazia.
Bibliografia
P. Claudel, Conversation sur Jean Racine, Parigi, 1956; J. Cocteau, in Le foyer des artistes, Parigi, 1958; R. Jasinski, Vers le vrai Racine, Parigi, 1958; J. L. Barrault, in Nouvelles réflexions sur le théâtre, Parigi, 1959; L. Goldmann, Structure de la tragédie racinienne, Parigi, 1962; F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, 1973; J. L. Backès, Racine, Parigi, 1981; J. Schérer, Racine et/ou la Cérémonie, Parigi, 1982; Ch. Bernet, Le vocabulaire des tragédies de Racine. Analyse statistique, Ginevra-Parigi 1983; E. Vinaver, Entretiens sur Racine, Parigi, 1984; I. Heyndels, Le conflit racinien. Esquisse d'un système tragique, Bruxelles, 1985.