Lenin, Nikolaj
IndiceLa formazione politica
Pseudonimo dell'uomo politico e rivoluzionario russo Vladimir Ilič Uljanov (Simbirsk 1870-Mosca 1924). Di famiglia piccolo-borghese, fu profondamente influenzato, come del resto i fratelli, dall'educazione ricevuta; il padre, benché rigido osservante della fede ortodossa e formalmente devoto al regime zarista, era un intellettuale progressista; la madre, Marija Aleksandrovna, di famiglia medioborghese professionale e illuminata, era donna di grande generosità ed equilibrio. Alessandro Uljanov, il fratello di quattro anni maggiore di Lenin, non ancora maggiorenne fu l'anima dell'ultimo disperato sussulto del populismo terrorista. Implicato nell'attentato del 1º marzo 1887 contro lo zar Alessandro III venne impiccato. Lenin avvertì il tragico sacrificio come una terribile lezione e affermò che era necessario trovare un'altra strada per abbattere lo zarismo e l'ingiustizia sociale. Partecipò a un tumulto studentesco per il quale venne espulso dall'Università di Kazan, dove frequentava il primo anno di giurisprudenza. Ma gli anni fra il 1888 e il 1893 furono la sua severa e studiosa preparazione alla rivoluzione che avrebbe incarnato. Riuscì a non insospettire la polizia, al punto di venire riammesso a sostenere, come “esterno”, gli esami di laurea in legge a Pietroburgo (1891). Ma intanto nel 1889 aveva studiato il Capitale, nel 1890 l'Anti-Dühring e nel 1891 aveva preso conoscenza dell'opera di Plechanov e del suo primo gruppo marxista russo dell'Emancipazione del lavoro. Fra il 1891 e il 1892 maturò la rottura con il populismo, abbandonando la strada che andava genericamente verso il popolo facendo leva su gesti terroristici di intellettuali isolati, e fece la sua scelta rivoluzionaria intesa a saldare il marxismo con la forza emergente e decisiva, gli operai. Nel 1893 si trasferì a Pietroburgo, dove iniziò un'intensa attività di propaganda presso gli operai alla guida dei primi possenti scioperi economici. Nel 1894 scrisse contro i populisti Che cosa sono gli “amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici. Nel 1895 fondò, riunendo vari circoli operai, l'Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia. Arrestato e deportato in Siberia (1897), vi sposò Nadežda Krupskaja e qui terminò (1899) il fondamentale studio sullo Sviluppo del capitalismo in Russia. Tornato dalla deportazione (1900) concepì il progetto di un grande giornale marxista per tutta la Russia e si accordò con il gruppo di Plechanov di Ginevra per la redazione e la stampa dell'Iskra (La scintilla), da introdurre e ristampare clandestinamente in Russia. La pubblicazione dei primi numeri dell'Iskra (1900-01), con la costituzione di un unico organo di agitazione e di propaganda, segnò il passaggio alla fusione dei diversi gruppi isolati verso la formazione di un unico Partito operaio socialdemocratico di Russia.
Il pensiero: l'analisi del capitalismo
La via rivoluzionaria era stata scelta con risolutezza; ma su quali basi oggettive, materiali, economiche? Che cosa si doveva rispondere a chi, come i populisti, non credeva che il capitalismo si potesse sviluppare in un Paese arretrato e semifeudale come la Russia? Come si poteva prevedere un peso crescente e decisivo del proletariato industriale delle grandi fabbriche in un Paese così prevalentemente agricolo? A queste questioni Lenin rispose nello Sviluppo del capitalismo in Russia. Secondo i populisti in Russia il mercato interno si contraeva perché i contadini andavano in rovina ed era impossibile realizzare il plusvalore senza un mercato estero, d'altronde inaccessibile a un Paese giovane postosi troppo tardi sulla via dello sviluppo capitalistico. A loro avviso il capitalismo russo era senza radici ed era nato morto. Tale tesi, secondo Lenin, era inficiata sul piano teorico generale dall'opinione che lo scopo della produzione capitalistica non fosse l'accumulazione, ma il consumo. Inoltre, Lenin insisteva a sostenere che il capitalismo fosse in pieno sviluppo in Russia, dimostrando, sulla base di un preciso uso della statistica, come il proletariato industriale, ancorché relativamente limitato rispetto ai Paesi occidentali, fosse in rapida espansione e concentrato nelle grandi fabbriche delle grandi città. Illustrò inoltre (in coincidenza con la tesi di Kautsky della contemporanea Questione agraria) come la concentrazione capitalistica avanzasse rapidamente nelle campagne dove i contadini erano alla fame e i latifondisti arricchivano esportando grano. Esisteva dunque in Russia un esercito di sfruttati e quindi un potenziale rivoluzionario. Quando nel 1916 Lenin scrisse l'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, la parabola dell'involuzione monopolistica del capitalismo si era compiuta: la guerra interimperialistica era in atto e con essa si avvicinava anche la rivoluzione socialista: proprio in Russia in quanto l'“anello più debole” della catena dell'imperialismo, là dove esso faceva sentire nel modo più drammatico la sua oppressione, provocando fame e morte. Secondo Lenin, per fare la rivoluzione, per conoscere e trasformare la realtà, occorreva essere ben sicuri che una realtà materiale esterna esistesse: bisognava rompere con ogni forma di agnosticismo e di empirismo, aperture al clericalismo e all'oscuro misticismo, diffusi nella tradizione, anche intellettuale, della “santa Russia”. Perciò la difesa del materialismo fu una preoccupazione costante di Lenin e a essa soprattutto dedicò il grosso libro di filosofia del Materialismo ed empiriocriticismo (1909). La sua tesi ontologica è quella classica di Marx ed Engels: l'esistenza assoluta della materia e quella derivata dello spirito quale suo prodotto. Sul piano gnoseologico Lenin portò due contributi fondamentali: la concezione della sensazione come “riflesso” dell'oggetto, ovvero calco fedele della cosa; la concezione della verità come un progressivo, approssimato, ma illimitato processo di adeguazione all'oggettività. Nei Quaderni filosofici, pubblicati postumi nel 1929-30, e le cui parti fondamentali sono del 1914-15, prende un peso rilevante, attraverso lo studio di Hegel, la problematica della dialettica e viene più chiaramente avvertito il carattere “attivo” del “riflesso”: cioè l'azione di ritorno del pensiero sulla materia, aprendo una prospettiva che avrà poi in Mao Tse-tung il massimo sviluppo.
Il pensiero: il ruolo del partito
Individuato il giusto metodo di conoscenza Lenin nel Che fare? (1902) affrontò il problema della preparazione ideologica e pratica della rivoluzione. Lo strumento della classe operaia per la rivoluzione doveva essere il partito, ma un partito di tipo particolare, legato alla situazione estremamente repressiva in cui il movimento operaio doveva agire in Russia. “Affermo – scriveva Lenin – 1) che non potrà esservi un movimento rivoluzionario solido senza un'organizzazione stabile di dirigenti che ne assicuri la continuità di lavoro; 2) che quanto più numerosa è la massa entrata spontaneamente nella lotta [...] tanto più imperiosa è la necessità di siffatta organizzazione e tanto più questa organizzazione deve essere solida [...]; 3) che tale organizzazione deve essere composta principalmente di uomini i quali abbiano come professione l'attività rivoluzionaria; 4) che, in un Paese autocratico, quanto più noi ridurremo gli effettivi di una tale organizzazione fino ad accettarvi solamente i rivoluzionari di professione, educati dalla loro attività rivoluzionaria alla lotta contro la polizia politica, tanto più sarà difficile “pescare” siffatta organizzazione; 5) che, in tal modo, tanto più numerosi saranno gli operai e gli elementi delle altre classi che potranno partecipare al movimento e militarvi attivamente”. Polemizzando contro le tendenze “economiciste” e “spontaneiste” Lenin insisteva sulla tesi che l'ideologia socialista non poteva sorgere dal movimento spontaneo della classe operaia, ma doveva essere portata a essa dall'“elemento cosciente” incarnato dal partito dei rivoluzionari di professione. Mentre, d'altronde, non bisognava limitarsi a una mera lotta economica marginale contro i padroni e il governo, ma occorreva mettere sempre al primo posto la lotta per il socialismo e innanzitutto per l'abbattimento dello zarismo. Nel 1903, nel II Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo tenutosi a Londra, Lenin riuscì a fare prevalere gran parte del suo programma e soprattutto a includere nell'obiettivo massimo del partito l'espressione “dittatura del proletariato”. Ma sulla concezione del partito i menscevichi (minoritari) si divisero nettamente dai bolscevichi (maggioritari, leninisti). E rapidamente le due correnti si trasformarono in fazioni contrapposte. Anche il vecchio Plechanov abbandonò Lenin. Questi ribadì con inflessibilità le sue tesi sul centralismo democratico, sulla ferrea disciplina di partito e sul primato del partito sulle masse in Un passo avanti e due indietro (1904). Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica (che non a caso è del 1905, “prova generale” del 1917) completa il quadro della strategia leniniana per la rivoluzione: Lenin vide il processo rivoluzionario in fasi distinte ma sempre guidate dal proletariato, prima la rivoluzione democratica, poi la rivoluzione socialista. Secondo Lenin il proletariato avrebbe dovuto portare a termine la rivoluzione democratica legando a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità della borghesia, e avrebbe poi dovuto fare la rivoluzione socialista legando a sé la massa degli elementi semiproletari della popolazione, per spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e della piccola borghesia. Mancava ancora il riferimento ai soviet quali strumenti di nuovo potere politico e la conseguente rivalutazione teorica dell'esperienza della Comune di Parigi quale perfetto esempio di dittatura del proletariato che si ritrova in Stato e rivoluzione (1918). Ma i soviet furono una creazione spontanea delle masse nel 1905, che peraltro Lenin esaltò sin dal 1906.
Le rivoluzioni del 1917 e le "tesi di aprile"
La rivoluzione borghese del febbraio 1917 che rovesciò la dinastia dei Romanov avvenne senza la partecipazione dei partiti rivoluzionari, che per la verità non se l'aspettavano. A Pietrogrado la costituzione del Soviet dei Deputati degli Operai, avvenuta subito dopo lo scoppio della rivoluzione, fu dovuta a una spontanea iniziativa dei gruppi di operai, senza suggerimenti dai centri dei partiti. Tra la fine di febbraio e i primi di aprile i bolscevichi tentennarono malcerti fra una rigida opposizione al governo e una più cauta posizione di attesa: nessuno osò pronunciarsi a favore del disfattismo nazionale, né chiamare il proletariato all'insurrezione. Lenin giunse dalla Svizzera la sera del 3 aprile 1917 e parlò immediatamente, fra lo stupore generale dei compagni, dell'imminenza della rivoluzione socialista. Sia al Soviet sia in una riunione di dirigenti bolscevichi si trovò completamente isolato. Tuttavia le “tesi di aprile” comparvero sulla Pravda del 7 aprile 1917 sotto il titolo I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale. Chiave di volta della posizione di Lenin era l'affermazione che in quel momento la Russia fosse nella fase di passaggio dal primo stadio della rivoluzione, che aveva dato il potere alla borghesia a causa dell'insufficiente consapevolezza e organizzazione del proletariato, al suo secondo stadio, che doveva fare passare il potere nelle mani del proletariato e degli strati poveri della classe contadina. Si trattava di conquistare i soviet alla maggioranza bolscevica e di passare (l'obiettivo era appena velato) alla rivoluzione socialista. Alla fine, Lenin riuscì a trascinare su queste tesi la maggioranza del partito. Durante tutta l'estate i bolscevichi presero sempre più nettamente a prevalere nei soviet principali (soprattutto a Pietrogrado e a Mosca), perché i menscevichi e i “socialisti rivoluzionari” si erano compromessi con il governo borghese, il quale non risolveva le questioni cruciali, di vita o di morte, della guerra e della carestia. Fra il settembre e l'ottobre Lenin lanciò la parola d'ordine dell'insurrezione armata: ottenne la maggioranza in Comitato Centrale nella storica riunione del 9 ottobre 1917. La via era aperta alla rivoluzione quasi incruenta del 25 ottobre.
Lo statista
Se per le misure del governo dei soviet e la vittoria sovietica nella guerra civile si rinvia alla voce Unione Sovietica, meritano attenzione, per definire la posizione di Lenin, statista edificatore del primo Stato socialista, soprattutto tre questioni: la sua posizione sulla funzione del sindacato, il lancio della nuova politica economica (NEP), il suo “testamento politico”. La battaglia sulla questione dei sindacati si svolse tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921, in una situazione di grave crisi economica e di malcontento di vasti strati popolari e degli stessi operai. Era inevitabile che emergessero due posizioni estreme: l'opposizione operaia, che formulò la parola d'ordine di affidare tutta l'economia nazionale al congresso panrusso dei produttori, sovrapponendo il potere dei sindacati al partito e allo Stato; e la posizione trotzkista, che mirava a una severa militarizzazione dei sindacati. Lenin mediò giustamente e abilmente fra le opposte esigenze della difesa dell'interesse immediato e dell'interesse a lunga scadenza, mantenendo al sindacato una relativa autonomia. Parimenti, sulla questione della NEP, gli parve necessario, per ridare fiato e fiducia all'economia nazionale, e soprattutto ai contadini, abbandonare il sistema dei prelevamenti forzati e fondarsi sull'istituzione di una precisa e preventivamente fissata imposta in natura; e gli sembrò anche utile favorire in una certamisura la ripresa del piccolo commercio. Questa politica, benché molto criticata da “sinistra”, era probabilmente necessaria, nelle difficili condizioni economiche di allora e perdurando l'imperfetta solidarietà contadina per il nuovo potere sovietico: costituisce dunque una testimonianza del realismo, pragmatico ma coerente, dell'azione di Lenin quale statista. Lenin, morendo, lasciava il Paese in una situazione di notevole difficoltà: l'edificazione dell'economia socialista era tutta da fare; l'URSS era accerchiata, anche il movimento rivoluzionario, che si era sviluppato in Europa e che aveva portato Lenin a organizzare nel 1919 la III Internazionale, era entrato in una fase di riflusso. Lenin aveva l'amarezza di non vedere chi potesse sostituirlo nella leadership e di avvertire i pericoli crescenti di burocratizzazione nell'esercizio del potere. Nelle sue ultime note, conosciute come “testamento politico”, egli manifestò dubbi e inquietudine sulla personalità di Stalin e Trotzkij, i due suoi probabili successori, l'uno, che aveva consolidato un immenso potere, da lui considerato troppo rozzo, il secondo, che pure egli stimava il più capace tra i membri del Comitato Centrale, giudicato troppo propenso all'autoritarismo.
Bibliografia
N. Krupskaja, La mia vita con Lenin, Roma, 1956; L. Fischer, Vita di Lenin, Milano, 1967; A. B. Ulam, Lenin e il suo tempo, Firenze, 1967; L. Althusser, Lenin e la filosofia, Milano, 1969; N. Bucharin, Lenin, Roma, 1969; Autori Vari, Dibattito su “Stato e rivoluzione”, Roma, 1970; G. Lukács, Lenin: unità e coerenza del suo pensiero, Torino, 1970; A. Pannekoek, Lenin filosofo, Milano, 1972.