Gorkij, Maksim
IndiceBiografia
Pseudonimo dello scrittore russo Aleksej Maksimovič Pežkov (Nižnij Novgorod 1868-Mosca 1936). Tra i più significativi scrittori russi contemporanei, Gorkij (in russo la parola che egli scelse come pseudonimo vuol dire “amaro”) fu il biografo di se stesso in Infanzia (1913), Fra la gente (1915), Le mie università (1922). Narrò la sua difficile esistenza in maniera semplice, senza retorica, conscio che le sue difficoltà fossero quelle di molti. E fu questo forse a fare di lui un cronista del suo tempo e il sostenitore della causa rivoluzionaria. Il nonno, grande lavoratore, indurito dalle difficoltà, dopo che il ragazzo ebbe perso padre e madre gli disse: “Io non ti posso appendere al collo come una medaglia, vai nel mondo”. Gorkij, che non aveva ancora dieci anni, imparò a vivere da sé. Lavorò in un calzaturificio, come Dickens che aveva cominciato in un laboratorio di lucido da scarpe. Da lì se ne andò presto. Prese a girare, inquieto, desolato. Fece di tutto: il calzolaio, il tipografo, il giardiniere, lo sguattero e in questo mestiere conobbe il suo mentore, il cuoco Smurij, a bordo di un battello sul Volga. Gli fu assegnato come aiuto e Smurij lo stimolò a leggere. Gorkij divorò La vita dei santi, poi le opere di Gogol, Dumas, Balzac, Flaubert, Puskin, Turgenev e altri. Furono letture assidue e disordinate. Riprese a vagabondare, lavorò nei porti, nelle ferrovie e scoraggiato pensò anche al suicidio. Poco prima dei vent'anni si unì ai populisti e fu arrestato; infine nel 1892 pubblicò in un giornale di Tiflis il suo primo racconto Makar Čudra. Ebbe successo. Spronato da Korolenko, conosciuto nel 1893, continuò a scrivere e nel 1898 raccolse le sue storie in due volumi. Fu la conferma che era nato un grande scrittore, capace di evocare un mondo reale, popolato spesso di reietti, di respinti dalla società o che alla società si erano negati. L'ideologia socialista di Gorkij nasce dalla ribellione all'ingiustizia, dall'emarginazione. Eletto nella Sezione letteraria dell'Accademia delle Scienze nel 1902, lo zar ne annullò la nomina. Korolenko e Čechov si ritirarono per protesta. Intanto Gorkij si avvicinava sempre più ai rivoluzionari, tanto da aderire alla rivoluzione del 1905 ed essere imprigionato per aver ospitato un rivoluzionario. Liberato l'anno dopo, lasciò la Russia per l'America, che non gli piacque e che satireggiò nel libro omonimo. Passò a Parigi e infine a Capri, che amò moltissimo. Qui organizzò con altri una scuola di propaganda rivoluzionaria e lasciò i suoi ricordi nei Racconti d'Italia (1911-13). Fu amico di Lenin. Rientrò in patria poco prima della guerra mondiale e diresse il giornale La vita nuova. Diede un'impegnata collaborazione culturale alla Rivoluzione d'Ottobre che preannunciò con i due poemetti in prosa Il canto della procellaria e Il canto del falco. Malato, tornò in Italia, a Sorrento, nel 1921 su invito dello stesso Lenin e nel 1928 fu di nuovo in URSS. Nel 1934 fu eletto presidente dell'Unione degli Scrittori Sovietici.
Opere
L'opera di Gorkij è enorme, se la si paragona alla sua vita sempre piena di interessi, di attività. Dopo i primi volumi di racconti del 1898, ne pubblicò un altro nel 1899 e nello stesso anno scrisse due drammi: Piccoli borghesi e Bassifondi, rappresentati nel 1902. L'approdo al teatro, più che per l'influsso del matrimonio che lo unì giovanissimo a un'attrice e a una compagnia di girovaghi, si spiega col vigore, l'immediatezza, l'essenzialità dei personaggi che popolano la sua opera. Fanno schermo all'arte di Gorkij le sue convinzioni politiche, che se fanno di lui un apostolo della giustizia e delle rivendicazioni sociali, si sovrappongono tuttavia all'ispirazione. Opera tuttavia di grande valore, Piccoli borghesi è in sintesi il quadro di una società che si consuma nell'acredine verso un mondo nuovo che sorge e che indica il fallimento di un'educazione di stampo borghesi del tutto superata. Con i Bassifondi Gorkij scrisse la sua più potente opera di teatro. Quadro realistico di un mondo primitivo, di gente strappata alla propria classe, libera da ogni pregiudizio borghese, è l'opera più pura dell'autore, che si svincola da ogni concezione romantica, del resto presente in molta parte della sua opera. Per il teatro Gorkij diede ancora I villeggianti (1904), I figli del sole e I barbari (1905), I nemici (1906), Vassa Zeleznova (1910), Egor Bulycev (1932) e altre opere minori, mentre alla narrativa appartengono altri suoi tre capolavori: Fomà Gordéev (1899), storia dell'ascesa e della decadenza di una famiglia borghese nella vecchia Russia zarista, I tre (1900) e La madre (1907-08); una sorta di trilogia ideale che consacrò la concezione marxista gorkiana e che invitò la critica ufficiale a considerare la sua opera (specie La madre) il simbolo dell'idea rivoluzionaria, impersonata da quella figura di donna forte che aderisce alla causa della rivoluzione sposata dal figlio, un giovane operaio deportato. Gorkij alternò spesso a storie sociali leggende a sfondo folcloristico: Il Khan e suo figlio, Leggenda crimeana, e scrisse quella amara opera che è Una confessione (1908), analisi del pensiero dell'autore e dei suoi rapporti col popolo russo, quasi un bisogno di tornare all'arte per l'arte. Seguirono La cittadina di Orukov (1909), La vita di Matvej Koženjakin (1910-11) e infine le sue due ultime grandi opere: L'affare degli Artamonov (1925), storia di una famiglia di contadini che, liberata dalla servitù, lascia la terra e conquista la ricchezza ma è turbata dai nuovi problemi della società in rinnovamento, diventata incomprensibile al vecchio capofamiglia e in cui Gorkij simboleggiò la fine del capitalismo; e La vita di Klim Samgin (1927-36), il cui protagonista, rappresentante medio dell'intelligencija, è l'interprete di quarant'anni di vita russa.
Bibliografia
L. Ginzburg, Scrittori russi, Torino, 1948; D. Levin, The Life and Work of Maxim Gorki, New York, 1965; M. Slonim, From Chekhov to the Revolution, New York, 1966; M. Miccinesi, Massimo Gorki, il vagabondo che diventò scrittore, Milano, 1972; V. Strada, Gogol, Gorki, Cechov, Roma, 1973; C. Ferrari, Il vagabondo e le stelle, Novara, 1990.