Goldóni, Carlo
IndiceBiografia
Commediografo italiano (Venezia 1707-Parigi 1793). Nacque da famiglia di agiata borghesia modenese che, dopo le dissipazioni del nonno paterno, fastoso mecenate di spettacoli teatrali (il primo personaggio della fantasia di Goldoni), conobbe momenti di alterna fortuna per l'irrequietudine del padre, medico in varie città d'Italia, che trasmise al figlio la smania di mutare continuamente residenza. Dal 1716 iniziò gli studi, prima a Perugia, presso il collegio dei gesuiti, poi a Rimini, donde, non riuscendo a sopportare la scuola di filosofia scolastica fuggì in barca con una compagnia di comici a Chioggia. Studente di giurisprudenza al collegio Ghislieri di Pavia, ne fu espulso (1725) per aver scritto una satira goliardica sulla bruttezza delle ragazze della città. La morte del padre interruppe le sue liete esperienze di viaggi e di amori, inducendolo a laurearsi a Padova (1731), dopo una notte trascorsa al tavolo da gioco. L'“avventuriero onorato” (così Goldoni amava definirsi), compiuto il suo tirocinio mondano, sposò (1736) Nicoletta Conio, che introdusse nella sua vita irrequieta maggiore regolarità ed equilibrio. L'incontro a Verona (1734) con il capocomico G. Imer gli aveva intanto offerto l'occasione propizia per intensificare la sua attività di scrittore teatrale, che alternò alla professione legale finché, nel 1747, un celebre attore, C. Darbes, lo convinse a farsi scritturare come autore stipendiato dalla compagnia di G. Medebac, che agiva al Teatro Sant'Angelo di Venezia. Creatosi un suo pubblico, Goldoni dovette sostenere la rivalità di P. Chiari, contro il quale condusse un'aspra battaglia teatrale, culminata con la promessa al pubblico di sedici commedie nuove, che furono rappresentate – con l'aggiunta di una diciassettesima – nella stagione 1750-51. Passato nel 1753 al Teatro San Luca dei fratelli Vendramin, Goldoni fu costretto a piegarsi al genere esotico e patetico per controbattere su quel terreno i successi di Chiari, sul quale trionfò nel periodo 1760-62, il felice triennio dei capolavori. Ma, dopo Chiari, si avanzava sulla scena un altro e più temibile rivale, C. Gozzi, che, con il successo delle sue Fiabe e con l'accusa di sovversione sociale rivolta al teatro goldoniano, indusse l'amareggiato Goldoni ad accogliere l'invito, rivoltogli dal Théâtre-Italien, di recarsi a Parigi. Accolto alla corte di Versailles come maestro di italiano della famiglia reale, ottenne da Luigi XVI una modesta pensione, che però nel 1792 gli fu sospesa dalla Convenzione; il 7 febbraio 1793 il poeta J. M. Chénier ottenne che gli fosse restituita, ignorando che il giorno prima Goldoni era morto.
Carlo Goldoni in un ritratto di A. Longhi (Venezia, Casa Goldoni).
De Agostini Picture Library / A. Dagli Orti
Carlo Goldoni. Incisione di un'edizione settecentesca de La bottega del caffè (Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli).
De Agostini Picture Library / G. De Vecchi
Carlo Goldoni. Una scena de La cameriera brillante in una rappresentazione del 1961 a Torino.
De Agostini Picture Library
Carlo Goldoni. Una scena de Gli innamorati in una rappresentazione del 1983 al Teatro regionale toscano.
De Agostini Picture Library
La "riforma" e le prime commedie
La personalità di Goldoni, quale appare dai deliziosi Mémoires (1787), stesi negli ultimi anni in una tensione vitale incurante delle malattie e della povertà, è ricca di ottimismo, di buon senso, di gioia di vivere. Ma i Mémoires sono anche la storia di una vocazione teatrale, di una tenace opera volta alla riforma della Commedia dell'Arte. Il “mondo” e il “teatro” sono pertanto gli elementi fondamentali della poetica di Goldoni, i due “libri” sui quali meditò più a lungo, come scrisse nella prefazione (1750) alla prima raccolta delle sue commedie. L'opera goldoniana si muove tra i due poli dell'aderenza alla vita concreta e reale (“mondo”), sia pure in forme nuove, e, alla tradizione artistica di carattere popolare rappresentata dalla Commedia dell'Arte (“teatro”). Con la sua riforma, Goldoni appagava le esigenze di un nuovo pubblico potenziale, quello borghese, che aveva elaborato un'etica nuova fondata sul buon senso, sul lavoro e sul culto della famiglia e, rifiutando l'evasione dalla realtà quotidiana, offerta dai comici dell'Arte, chiedeva un teatro nuovo, che rispecchiasse la sua condizione sociale, le sue difficoltà, le sue aspirazioni. Con la prima commedia goldoniana, Momolo cortesan (1738), che appare dopo un lungo noviziato teatrale di tragedie, melodrammi, intermezzi, fa la sua comparsa sulla scena la figura del mercante generoso ed economo; poco dopo, con la Bancarotta (1741), accanto al vecchio Pantalone, vizioso e rimbambito, della Commedia dell'Arte, si trova, il figlio Leandro, il mercante onesto e avveduto. Momolo e Leandro sono, in germe, il nuovo Pantalone che in L'uomo prudente (1748) ha già compiuto la sua metamorfosi e diviene il “mercante onorato”, arricchitosi con la sua operosità e ligio alla parola data, anche se alquanto ruvido nei modi. Intanto, con La donna di garbo, prima commedia tutta scritta, ha fatto la sua apparizione la regina del teatro goldoniano, la donna avveduta e volitiva; mentre, con Arlecchino servitore di due padroni (1745), la forza di azione mimica e scenica della Commedia dell'Arte è stata pienamente assimilata e trasposta nella rapidità del dialogo. Il serrato gioco scenico di questa commedia diviene profondo accordo fra ritmo teatrale e ritmo vitale, più che nell'abile La vedova scaltra (1748), in altre due commedie dello stesso anno, La putta onorata e La buona moglie, che rispecchiano interni familiari piccolo-borghesi, irrompe la realtà veneziana nelle sue componenti sociali, dal mondo vizioso della nobiltà a quello rude e generoso dei gondolieri. Con La famiglia dell'antiquario (1749) il vecchio contrasto di suocera e nuora diviene il conflitto sociale tra la nobildonna dura e orgogliosa e la giovane e ricca figlia del mercante: un conflitto senza possibilità di pacificazione e senza soluzione; la borghesia, economicamente forte ma politicamente debole, non era ancora in grado di abbattere la vecchia struttura oligarchica. In tale situazione, Goldoni non si spinse al di là di spunti egualitari, come quello celebre di Pamela (1750: “verrà un giorno che dei piccoli e dei grandi si farà nuovamente tutta una pasta”), che fanno di lui un “democratico senza aver letto Rousseau” (Gramsci), persuaso però dell'intraducibilità pratica delle magnanime utopie dei “filosofi”. Non essendo possibile modificare le strutture sociali, non restava che ripiegare nell'ambito della famiglia e riscoprirvi il segreto di un discorso quotidiano scevro dai pregiudizi sociali e dalla retorica. Non a caso, dopo le commedie nuove della stagione 1750-51 (fra le quali si ricordano almeno Il teatro comico per la chiarezza con cui vi è enunciato il programma della commedia di carattere, La bottega del caffè per la splendida realizzazione di quel programma nel personaggio di Don Marzio e il gustoso ciclo sulla psicologia femminile culminato ne Le donne curiose), questa prima fase si chiude con un capolavoro, La locandiera (1753), che segna il trionfo dell'antiretorica: Mirandolina, con le sue adorabili finzioni, demistifica il linguaggio dei suoi spasimanti, facendo cadere il diaframma tra le parole e le cose. A La locandiera segue La cameriera brillante (1753) , commedia minore, ma significativa, perché vi appare già in crisi la filosofia del mercante: Pantalone, assillato dalle preoccupazioni della mercatura, preferisce acquistare delle terre e ritirarsi in campagna. Al disimpegno di Goldoni si congiunge, in questo periodo, la stanchezza della sua arte, che però rifulge ancora una volta nella deliziosa serenata mozartiana de Il campiello (1756) .
I capolavori del triennio veneziano: 1760-62
Dopo Gli innamorati (1759) , una profonda e delicata commedia d'amore, è la volta dei capolavori del triennio 1760-62. La crisi del regime oligarchico veneto si è ulteriormente aggravata e la vita culturale è in netto regresso. Viene meno la fiducia di Goldoni in una prospettiva riformistica, fondata sulla collaborazione dell'aristocrazia con il ceto borghese: ora i nobili non costituiscono più l'idolo polemico dello scrittore e spariscono dalle sue commedie. La dialettica non si svolge più tra due classi sociali, ma si trasferisce all'interno della classe borghese, che viene rappresentata da Goldoni con minore ottimismo. Pantalone è sostituito dal “rustego”, cioè dal borghese chiuso nei suoi pregiudizi. In una parabola discendente si allineano così gli eroi negativi della grettezza e dell'avarizia, dallo zio Cristofolo di La casa nova (1760) ai quattro Rusteghi (1760), al mercante di Un curioso accidente (1760), allo zio Bernardino della celebre “trilogia della villeggiatura” (Le smanie per la villeggiatura, 1761), a Sior Todero brontolon o sia Il vecchio fastidioso (1762). L'etica borghese fondata sul guadagno, sul buon senso, sulla quiete domestica, non soddisfa più lo stesso Goldoni, che pure l'aveva propugnata con tanto entusiasmo all'inizio della sua carriera artistica. Se la borghesia non vuole cadere nell'immobilismo dell'aristocrazia, se vuole sostituirla nella guida dello Stato, nuove virtù sono necessarie, dalla socievolezza alla liberalità, dalla cultura alla capacità di dialogo; ma sono proprio queste le virtù che i “rusteghi”, nel loro testardo misoneismo, considerano vizi, cedimenti, debolezze. La poetica goldoniana tocca ora il suo culmine: il “teatro” è ora la rappresentazione totale del “mondo” borghese, colto nell'urto delle sue contraddizioni interne, nell'irriducibile contrasto tra le vecchie e le nuove generazioni. È significativo che l'ultimo capolavoro del grande triennio veneziano sia Le baruffe chiozzotte (1762): la vicenda dei pescatori di Chioggia che irrompono festosamente nel teatro goldoniano proprio quando il poeta ha oramai preso lucidamente coscienza dei limiti del mondo borghese cui egli stesso appartiene.
Goldoni e la critica
Dopo il patetico addio alla sua città di Una delle ultime sere di carnovale (1762), Goldoni, trasferitosi a Parigi, non è riuscito a rinnovare l'eccezionale fervore creativo del periodo 1760-62: la sua ultima produzione risente ormai del mestiere, anche nel caso di quel prodigio di abilità tecnica che è Il ventaglio (1765) e di quel dignitoso saggio di classico rigore che è Le bourru bienfaisant o Il burbero benefico (1771). Considerata nel suo insieme, l'opera goldoniana, dopo le incomprensioni della critica romantica e idealistica, è stata oggetto di un radicale ripensamento critico: l'immagine tradizionale di “papà Goldoni”, bonario osservatore di una modesta realtà veneziana, da lui trasposta sulla scena in chiave musicale, trova ormai scarso credito e vengono riconosciuti dalla maggior parte degli studiosi il valore poetico, il sottofondo storico e la serietà morale di Goldoni, che, per la novità della sua scelta antiarcadica e antilibresca, può essere considerato il primo, grande autore popolare italiano.
Bibliografia
M. Baratto, Mondo e teatro nella poetica di Carlo Goldoni, Venezia, 1957; M. Dazzi, Carlo Goldoni e la sua poetica sociale, Torino, 1957; A. Momigliano, Saggi goldoniani, Venezia-Roma, 1959; V. Branca, N. Mangini, Studi goldoniani, Venezia-Roma, 1960; G. Petronio, Dall'illuminismo al verismo, Palermo, 1962; idem, Goldoni. Storia della critica, Palermo, 1964; N. Mangini, La fortuna di Goldoni, Firenze, 1965; W. Binni, Il Settecento letterario, in E. Cecchi, N. Sapegno, Storia della letteratura italiana, Milano, 1968; G. Geron, Carlo Goldoni cronista mondano, Taranto, 1973; S. Ferrone, Carlo Goldoni, Firenze, 1990.