Góngora y Argote, Luis de-
IndiceBiografia
Poeta spagnolo (Cordova 1561-1627). Di famiglia nobile e facoltosa, imparentata con le più illustri cordovesi (il padre Argote – ma il poeta preferì usare il più sonoro cognome della madre – era giudice dei beni confiscati dall'Inquisizione), protetto da uno zio che lo volle ecclesiastico per trasmettergli via via rendite e benefici redditizi, Góngora studiò svogliatamente a Salamanca e nel 1585 prese, senza troppa vocazione, gli ordini maggiori. Prebendato del Capitolo della cattedrale di Cordova, viaggiò per delicate missioni nella Spagna del Nord e nel 1617, favorito dal primo ministro Lerma, si stabilì a Madrid in qualità di cappellano del re Filippo III. Ma nel 1626 preferì ritornare nella città natia dove morì l'anno seguente. Non dovette essere un sacerdote modello, se già nel 1587 il vescovo di Cordova lo rimproverava per frequenti assenze dal coro della cattedrale e troppa frequenza a spettacoli profani (commedie e corride di tori), nonché per la composizione di “canzonette” (coplas) tutt'altro che sacre; al che il poeta, noto anche per la lingua tagliente, replicò affermando di sapere “poca teologia” e di preferire comunque una condanna per leggerezza di costumi piuttosto che per eresia. Góngora non pubblicò mai un libro di versi; ma le liriche profane dell'epoca giovanile (romanze liriche e amorose, letrillas popolaresche e satiriche, ecc.), non meno che i poemi più seri della fase matura, circolarono largamente ancora durante la vita del poeta, suscitando polemiche e avversioni anche violente (Lope de Vega e Quevedo si segnalarono fra gli “antigongoristi” più accaniti e maligni, e Góngora rispose con altrettanta acredine). Solo nel 1627, morto già il poeta, un suo ammiratore, Juan López de Vicuña, ne pubblicò le Obras en verso definendolo pomposamente fin dal titolo: Homero español; da allora la diatriba non fece, si può dire, altro che crescere, fin quasi ai nostri giorni.
Luis de Góngora y Argote in un ritratto di Velásquez (Madrid, Prado).
Madrid, Prado
La critica
La potente novità della poesia di Góngora gli suscitò infatti molti avversari, non meno che fanatici ammiratori ed epigoni; e per secoli gli venne attribuita la responsabilità del peggiore seicentismo, non solo spagnolo, ma anche italiano (marinismo), francese, inglese. Ancora nel sec. XIX fu un luogo comune critico la distinzione fra un Góngora giovanile, piacevole e “chiaro”, e il Góngora dei poemi maggiori, composti dopo il 1610 (Soledades, Polifemo, Panegirico a Lerma), incomprensibilmente stravagante e ultrabarocco. Solo a partire dal centenario del 1927 e grazie ai poeti giovani del momento (in particolare Dámaso Alonso, che curò una magistrale edizione moderna delle Soledades, nonché García Lorca, Salinas, Diego, ecc.), gli antichi e radicati pregiudizi antibarocchi cominciarono a essere superati e l'opera di Góngora venne più ragionevolmente studiata nella sua sostanziale e coerente originalità. È ormai certo che si tratta di uno dei primi poeti dell'età moderna, la cui opera è carica di quello che è stato definito il radicale e aggressivo “avanguardismo” dell'arte moderna.
L'opera e il linguaggio poetico
La poesia di Góngora parte dalla realtà, i suoi poemi maggiori sembrano persino avere una trama (il Polifemo è, nientemeno, una favola ovidiana; le Soledades narrano di un ignoto naufrago venutosi a trovare fra pescatori e pastori). Le trame non hanno manifestamente alcuna importanza, l'universo reale è integralmente metaforizzato, poeticizzato, attraverso un'inesauribile captazione di insospettati rapporti fra gli esseri e le cose. Da ciò deriva la meravigliosa novità del linguaggio poetico, fatto di formulazioni verbali condensate, scorciate fulmineamente (soppressione di articoli e di copule verbali, allusione e stilizzazione di miti classici, rovesciamenti sintattici, continue innovazioni lessicali), e di enorme abbondanza di sostantivi. In definitiva, una poesia di “cose” (con eccessiva durezza il secentista Jáuregui la definì “senz'anima”), ma di cose metamorfosate in virtù di un magistero sovrano, quasi magico, che le trasferisce in un mondo sopra-reale, le ricrea in un universo soltanto artistico. È ovvio che le tendenze “artisticizzanti” erano già nelle poetiche del tardo rinascimento (tramite capitale, per la Spagna, il commento di Herrera al Canzoniere di Garcilaso), ma Góngora e solo lui (gli imitatori, come sempre, ne seguirono solo la “maniera”) seppe portarle a compiutezza: caso unico, almeno in Spagna, di “mistico della realtà materiale” (P. Salinas).